Pasqua, un nuovo inizio. Don Marco Bove: “La sfida è testimoniarla nel nostro tempo”

L’annuncio della Pasqua, fondamento della fede cristiana, che commemora la resurrezione di Gesù dai morti, è strettamente intrecciato con i racconti degli evangelisti delle apparizioni del Risorto. Don Marco Bove, presidente della Fondazione Sacra Famiglia Onlus, nel volume “Sorpresi dal Risorto” (Àncora Editrice 2023, pp. 160, 16,00 euro) descrivendo “Gli incontri pasquali di Gesù”, come recita il sottotitolo del libro, ripercorre questi testi che sono anche per noi, oggi che ci apprestiamo a festeggiare l’importante solennità cristiana, la chiave di accesso all’esperienza del Risorto, e insieme la condizione che può renderci testimoni della Pasqua del Signore per questo nostro tempo. 

“Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve”.

Abbiamo intervistato don Marco Bove, presbitero della diocesi di Milano dal 1987, che ha collaborato con l’Istituto Sacerdotale Maria Immacolata (ISMI) della Diocesi per la formazione permanente dei giovani sacerdoti dal 1996 al 2007 e successivamente è stato parroco a Milano fino al 2016. Il 26 gennaio 2017 Don Marco è stato  nominato Presidente di Fondazione Istituto Sacra Famiglia Onlus Cesano Boscone, Fondazione Istituto Sacra Famiglia Onlus, che da oltre 120 anni garantisce cure continuative a persone con disabilità complesse e ad anziani non autosufficienti.

  • L’incontro di Gesù con le donne al mattino di Pasqua ci viene raccontato da tutti gli evangelisti, ma Matteo riporta qualcosa di più di un semplice dato cronologico, sottolineando la valenza simbolica e teologica di quanto accaduto in quel momento. È per questo motivo che la scena si svolge il giorno dopo il sabato, all’alba? 

«Sì, è un dato teologico nel senso che simbolicamente rappresenta il passaggio dalla notte dell’incomprensione, dove tutto è finito, a un’alba nuova, a un nuovo inizio. Laddove sembrava non ci fosse più futuro, in realtà quel momento viene disegnato, descritto dagli evangelisti  come un passaggio. Le prime luci dell’alba, quando non è ancora chiaro ma si comincia a intravedere qualcosa o qualcuno. Questa è l’immagine che avevo in mente per definire questo istante. La luce dell’alba permette appunto di vedere l’alba di un giorno nuovo e il simbolo è l’ottavo giorno».

  • Matteo parla anche di guardie poste a custodia del sepolcro. Che cosa rappresentano? 

«Dal punto di vista storico è un dato tutto da valutare nel senso che può darsi ci sia un dato di realtà, ma è come se si volesse aggiungere anche un elemento comprovante. Che cosa vuol dire? Che c’erano anche dei testimoni. Altre persone che in realtà avrebbero dovuto custodire il Sepolcro, impedire che altri discepoli potessero portare via il corpo. Nel racconto le due guardie certificano che lì c’era qualcuno a sorvegliare e che tutto quello che è successo è qualcosa che ha un tratto soprannaturale e che quindi non può avere altra spiegazione. È avvenuta la Resurrezione di Cristo, qualcosa al di fuori di una misura e di una volontà umana. Questa è l’idea delle guardie al Sepolcro».

  • Giovanni descrive la reazione di totale incredulità e chiusura dell’apostolo Tommaso che dice: “Se non vedo direttamente quello che mi state dicendo, io non credo”. Il racconto di quanto gli apostoli hanno vissuto, l’incontro con il Signore, è anzitutto una testimonianza di fede? 

«Per certi versi, sì. Il racconto dell’incontro tra Gesù e Tommaso vuole rispondere a quella parte del credente che è in ciascuno di noi che fa fatica a credere. Tommaso dice che per credere vuole toccare le ferite del Risorto. Da qui l’invito di Gesù a Tommaso di mettere il dito nelle sue ferite, a non essere più incredulo ma credente. Il Vangelo non ci dice se Tommaso ha compiuto questo gesto, l’invito di Gesù non è una sfida, ma è un prendere sul serio il dubbio di Tommaso. Per credere non c’è necessità di toccare le ferite, ma basta sentirsi presi sul serio con i nostri dubbi e le nostre fatiche di credenti». 

  • Fare esperienza di Gesù risorto è condizione indispensabile per divenirne testimoni? 

«È il senso che volevo dare al percorso del libro, alle apparizioni di Gesù. Il fondamento della fede pasquale è questo. Gesù è il Risorto, io l’ho incontrato e ne sono diventato testimone, stiamo parlando dei testimoni della prima ora. Ma noi oggi come facciamo a essere testimoni? È questa la vera sfida da affrontare. Il Signore Gesù ancora oggi si rende riconoscibile, ma anche noi, come allora, facciamo fatica a riconoscerlo». 

  • Il Risorto è lo stesso Gesù che i discepoli avevano conosciuto, ma c’è qualcosa che introduce una novità, qualcosa di inedito, che lo rende non immediatamente riconoscibile, come accade con Maria di Magdala. Perché anche quest’ultima non riesce a riconoscerne la presenza?

«Sono gli occhi di Maria di Magdala, i nostri occhi, che sono incapaci di riconoscere il Risorto.   Qualche cosa impedisce di avere una visione chiara. Luca dice che i discepoli di Emmaus hanno il volto triste, deluso e anche arrabbiato, temono che sia finito tutto. Questo fa da velo nel poter avere una visione non solo oculare ma soprattutto spirituale. La stessa cosa avviene in parallelo per Maria di Magdala, la sua disperazione, il pianto, simbolicamente le impedisce di riconoscere che quello che lei ha scambiato per un lavorante è esattamente quello che sta cercando. Ciò ci fa comprendere che spesso il Signore non è tanto lontano da noi, siamo noi che non riusciamo a riconoscerne la presenza. Non si tratta di vedere, ma di riconoscere. È un verbo molto più forte. La presenza c’è ma tu non sai che è Lui».

  • Secondo il racconto di Giovanni, il Signore riserva una particolare attenzione all’apostolo Pietro, rivolgendosi a lui direttamente e mettendosi in dialogo su di un piano più personale e per certi versi più intimo. Ce ne vuole parlare? 

«Nei racconti evangelici, Pietro rappresenta gli apostoli tutti insieme, dunque questa attenzione particolare a Pietro, secondo me, fa capire che gli apostoli non erano preparati a quello che sarebbe successo. Pietro, in particolare, rappresenta quella pretesa di dire: “Signore, arriverò con te fino alla fine”. Pietro è guardato con attenzione, perché non si riconosceva nella sua fragilità, presumeva di sé, ma questo vale non solo per tutti gli altri apostoli, ma anche oggi per tutti noi».

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