9 preti nuovi per una Chiesa in cammino. Il 27 maggio le ordinazioni

È sempre un evento speciale quello delle ordinazioni sacerdotali di una diocesi, perché, come tutte le cose che iniziano, sono portatrici della speranza di qualcosa di nuovo: in particolare, la figura di giovani pastori porta con sé la speranza fresca di un volto di Chiesa che si rinnova e che continua il suo cammino nella storia.

Tanto più quando anche i numeri sono significativi: 9 giovani diventeranno preti a Bergamo il prossimo 27 maggio. È un evento per cui ringraziare il Signore, e da festeggiare come Chiesa tutta. Ma chiede anche alle nostre comunità cristiane di ragionare insieme, a bocce ferme, sulle implicazioni di questo evento.

La prima considerazione riguarda il futuro di questi ragazzi, a cui la Chiesa mette nelle mani un pezzetto di quel Regno di Dio, che ben più indegnamente ha ricevuto dal suo Signore.

Quel futuro che comincia appena dopo che si è spento l’ultimo battito di mani e si è abbassato il calice dell’ultimo tardivo brindisi. Quel futuro che è il quotidiano del ministero che a questi ragazzi viene affidato e a cui, carichi di speranza, loro hanno affidato tutta la loro vita.

C’è un pizzico di santa incoscienza in tutto questo. Che va accompagnata con una dose altrettanto generosa di umano sostegno. L’ordinazione non è un incanto che trasforma dei ragazzi generosi – ma normalissimi – nei supereroi di cui avremmo bisogno: è un dono di fede fatto a loro e alle comunità cristiane, che da loro e dalle comunità cristiane chiede di essere continuamente ricevuto.

Preti lo si diventa in un istante, ma ci vuole una vita per esserlo davvero, e ogni comunità ha il potere trasfigurante di rendere migliore o peggiore il proprio pastore. Bastano poche parole, uno sguardo giusto, una chiamata disinteressata, un piatto di lasagne quando ce n’è bisogno…

Unito alla “pretesa” bella e genuina di chi domanda al proprio pastore di essere santo, dedito e appassionato. Comunità che si prendano cura delle condizioni di vita dei loro preti, della loro umanità come del loro quotidiano. Senza che la distanza del sacro rispetto diventi una scusa per un elegante disinteresse.

Una seconda considerazione riguarda il cambiamento del volto di Chiesa, che è il desiderio che scorre dentro tanta della nostra pastorale, dal Cammino sinodale alla riforma diocesana delle CET: come essere Chiesa oggi in questo tempo.

Le riforme nella Chiesa sono sempre accadute perché una scintilla di cambiamento e di conversione si è propagata fino ad accendere intere parti del popolo di Dio. C’è bisogno di preti nuovi e di laici nuovi, insieme, non solo di nuovi preti e laici per sostituire quelli che il tempo ha usurato.

Di un popolo di Dio che sa immaginarsi nuovamente dentro le sfide di questo tempo: sa ricevere ciò che viene dal presente e sa accogliere ciò che viene dal futuro. Con rispetto, ma anche con lungimiranza.

Il sacerdozio di qualcuno ricorda che il popolo di Dio è sacerdotale, nel suo insieme: non è una delega quella che firmiamo a questi ragazzi, né un compito di rappresentanza. Si tratta di un ministero dentro un popolo.

Un ultimo rilievo riguarda la vocazione al sacerdozio e i luoghi dentro cui, come comunità cristiana, si fa da cassa di risonanza della chiamata: 9 preti che escono dal seminario, vuol dire che ci saranno 9 seminaristi in meno l’anno prossimo, qualora nessuno si aggiungesse alla squadra.

C’è una pastorale di vocazione da alimentare, da incoraggiare e da far crescere. Sicuramente la figura del prete può e deve essere ripensata. Ma non può essere fatto solo per necessità, perché si è alla frutta e non ci sono alternative.

Festeggiare la loro scelta non è questione di un giorno, è questione di trovare se e come questa scelta possa dire qualcosa ancora oggi anche ad altri.

  1. Che dire… oltre alla bella riflessione di d.Mattia che, immagino sia frutto dell’esperienza di un vissuto, di un clima respirato.. se pur breve, perché “giovane, ma che non può che far riflettere maggiormente su come queste “anime ispirate dal dono di Dio” vengano “istruite e preparate” ad affrontare un mondo che non appartiene più a quello clericale cosiddetto tradizionale. A mio modesto parere, il “prete cosiddetto tradizionale, che svolge il suo operato nelle sole chiese parrocchiali, presto si accorgerà che i frequentatori delle stesse, saranno sempre meno e che la popolazione multietnica sempre più numerosa, porta con sé valori che per la maggior parte non coincidono con quella religiosa cattolica fin qui perpetrata.. E allora, cosa è dato di essere ad un prete, che ha nel Vangelo di Cristo il suo modo di agire? certamente non facendo proselitismo ma vivendo e camminando insieme, a fianco… e, sempre con un “grembiule” di servizio all’uomo, come don Tonino Bello, e molti altri…hanno lasciato come eredità da far fruttare. grazie per l’ascolto

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