Albegno, la generosità e il servizio agli altri come mattoni per costruire la comunità

“La generosità non è solo un buon sentimento, non è solo personale, riguarda un modo di costruire comunità”. Albegno di Treviolo è una piccola parrocchia di circa 2.800 abitanti, ma ricca di iniziative e di gruppi di volontariato. Così il vescovo, monsignor Francesco Beschi, visitandola nel corso del suo pellegrinaggio pastorale nella Fraternità 1 San Bernardino della Cet 12 ha deciso di approfondire proprio questa capacità di essere generosi, quindi di donare, mettersi a servizio, condividere con gli altri, come “qualità che contribuisce a generare una società più giusta”.

Per farlo ha sottolineato il vescovo “è necessario che ci siano persone che facciano di più di quello che è giusto”, caratteristica che appartiene, appunto, ai generosi. “Attraverso i vostri gesti quotidiani e l’attività nei diversi gruppi – ha detto – state costruendo una società più umana e più giusta, che possa essere caratterizzata dalla speranza e non solo dalle paure che ora ci attraversano, come la pandemia, la guerra, i cambiamenti climatici”.

“Donare è uno stile, un modo di essere”

Ad ascoltare c’erano catechisti, membri dell’équipe educativa dell’oratorio, volontari dei gruppi di riciclo di mobili e vestiti, persone di età ed esperienze diverse: “C’è la signora Rosa – ha raccontato il parroco don Camillo Brescianini – che ha 86 anni e va ancora in bicicletta a trovare i malati per portare l’eucarestia, e dall’altra parte i giovani impegnati nell’attività caritativa. In mezzo ci sono tanto cuore e tanta creatività”.

Fra le caratteristiche più importanti della generosità, ha ricordato il vescovo, “c’è il dono, che impegna una persona non solo per un gesto, un’azione, perché è uno stile, un modo di essere. Ora ascoltando mi state donando il vostro tempo, ancora più prezioso perché spesso non ne abbiamo”.

Altrettanto importante l’aspetto del servizio: “Non è solo un aiuto e non è la risposta a un bisogno – ha proseguito monsignor Beschi -. Una comunità parrocchiale offre molti servizi: una sala teatrale, l’oratorio, il centro di primo ascolto, l’educazione. Ma l’originalità del nostro contributo riguarda di più lo spirito di servizio, cioè l’attenzione alla persona, non solo al bisogno. Abbiamo toccato con mano che la nostra terra si muove in modo eccezionale, perfino eroico, per rispondere a un’emergenza, poi però l’accampamento viene smontato e ognuno torna a casa propria. Lo spirito di servizio invece si concentra sulle persone anche nelle situazioni ordinarie, accogliendole così come sono, senza soppesarle e giudicarle, una cosa di cui oggi c’è molto bisogno. Gesù non ha disdegnato il potere, ma lo ha subordinato al servizio. Se invece trasformiamo il servizio in potere capovolgiamo il Vangelo. È una tentazione che ogni tanto tocca anche noi cristiani e le nostre comunità. Il servizio è gratuità non perché non viene fatto pagare, ma perché viene fatto con grandezza d’animo”.

Prima di tutto la condivisione: importante lavorare insieme

Il vescovo ha infine evidenziato l’importanza della condivisione: “Significa che ognuno ci mette del suo, e che dobbiamo essere bravi a unire i nostri sforzi. Oggi è difficile essere generosi ed efficaci quanto vorremmo se non lavoriamo insieme. Ognuno fa la sua parte per il bene di tutti. Questo processo di condivisione deve essere allargato anche alle diverse comunità parrocchiali, senza paura di perdere l’identità, sommando il bene che ognuna è in grado di fare. L’incontro con l’altro non ci fa smarrire noi stessi, anzi, ci aiuta a crescere”.

I volontari presenti hanno ringraziato il vescovo per la sua presenza, manifestando un particolare apprezzamento per la visita agli anziani della casa di riposo, un “fuori programma” che ha portato gioia agli ospiti e ai familiari. Qualcuno ha espresso la fatica e il rammarico di non riuscire a coinvolgere di più i giovani: “Dobbiamo fare i conti – ha concluso il vescovo – con una situazione in cui non riusciamo più ad avvicinare e appassionare tutti alla vita della parrocchia. Non possiamo fare molto per cambiare gli altri, ma possiamo lavorare su noi stessi, coltivando la pazienza dell’attesa, la convinzione che il tesoro della fede che noi custodiamo ha valore indipendentemente dai frutti che cogliamo. Si può depositare come un seme nel cuore delle persone che incontriamo, e forse prima o poi germoglierà. Non siamo più tutti ma siamo sempre per tutti”.

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