L’ora di religione a scuola? Tre buoni motivi per una scelta di valore

Le ragioni di una scelta che ci riguarda

L’anno scorso in agosto era stato pubblicato un articolo che affermava come quasi il 25% degli studenti bergamaschi avesse deciso di non avvalersi dell’ora di religione a scuola.

Certamente è una statistica che fa riflettere, ma è sorprendente constatare come, a fronte di una pratica religiosa molto più bassa, ancora il 75% degli studenti scelga di avvalersi di questa possibilità.

Una resilienza sorprendente, anche a fronte del fatto che spesso l’ora di religione ha una collocazione piuttosto residuale negli orari scolastici, occupando le ore meno appetibili dei giorni più difficili, in capo e coda di settimana.

O del fatto che non ha, soprattutto per i più grandi, un equivalente servizio di alternativa, per cui l’esonero dall’ora di religione coincide spesso con un’ora buca in più: uscita anticipata o, nella migliore delle narrazioni, ora extra in cui poter studiare.  

Con l’arrivo dell’estate e un pensiero già gettato verso l’anno prossimo, per diverse famiglie si ripropone il dilemma: ora di religione sì o no per mio figlio? Dilemma che si fa più acuto man mano i piccoli diventano grandi e le motivazioni per dire sì risultano meno appetitose di quelle fatte baluginare da un’ora bonus di tempo libero.

In questo senso, è impari che un’ora di niente (con tutto ciò che riempie il tempo del niente) venga fatta valere come un’ora di scuola: è un’esca che ha grande appeal ma nessuna radice di senso.

Perché scegliere l’insegnamento di religione per i nostri figli? Ci sono almeno tre motivazioni culturali che sarebbero da ponderare.

La prima motivazione è culturale in senso letterario e artistico. I significati della civiltà occidentale hanno preso forma dentro una storia in cui la religione ha scritto pagine importanti.

Solo la “Cancel culture” può pensare di sistemare la questione delle differenze nel modo più banale, rimuovendole con uno strato di pittura, come se non esistessero. La sfida è prendere sul serio la pluralità e costruire unità come accordo di libertà mature, non come omologazione fatta a monte per limare gli spigoli.

Dante, Manzoni, Michelangelo, Nietzesche… I grandi del pensiero, della filosofia e dell’arte si sono confrontati con il discorso della religione: non passare di qui significa restare analfabeti nei confronti di un’esperienza che, volenti o nolenti, segna il mondo in cui viviamo, nello stesso modo in cui la segnano i soldi, i social, il calcio e l’inquinamento.

La seconda motivazione è culturale in senso sociale. Il pluralismo e la grande mobilità della globalizzazione porta le nostre società a un confronto costante con tradizioni in cui l’elemento religioso è considerato determinante per la definizione dell’identità: come fa a prendere forma il mondo pacifico di domani, se ci si preclude la comprensione dell’orizzonte di senso multiculturale in cui si è immersi? Le religioni, forse non per la nostra civiltà secolare ma per tutti gli altri sì, sono un elemento insuperabile per l’incontro: in quali altri luoghi che non siano l’ora di religione si trova la possibilità di approfondire ed educare questa conoscenza reciproca?

L’ultima motivazione è culturale in senso spirituale. Potremmo intendere questa parola in modo molto laico, come interiorità, pensiero, convinzioni. Si moltiplicano nella scuola i corsi che hanno a che fare con l’educazione: civica, ambientale, sessuale…

Come è possibile educare qualcuno se non si ha un’idea di bene con cui confrontarsi e su cui discutere? Senza questo, si addestra a buttare la carta nel cestino, ad attraversare sulle strisce pedonali, e poco più…

Ma cittadini del mondo, uomini e donne, responsabili del pianeta e del mondo che verrà sono tutte cose che hanno a che fare con un’idea di bene. È ciò che riguarda la religione, cioè un’idea complessiva e condivisa di valori.

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