Volontari in Emilia Romagna. Suor Chiara: tenere gli occhi aperti su ciò che accade per scoprire la bellezza di donare tempo e cura

Buongiorno suor Chiara!
Ho seguito con piacere la bella mobilitazione di volontari per l’alluvione in Emilia Romagna. Mi è sembrata significativa in un momento in cui invece nelle comunità cristiane si fa un po’ fatica a trovare volontari, soprattutto giovani. Secondo lei come si può fare per mantenere questa bella vivacità di impegno anche nella vita ordinaria?
Cristina

Innanzitutto, cara Cristina, è necessario evidenziare che i due ambiti da te sottolineati non sono paragonabili: hanno, infatti, motivazioni diverse, sebbene siano accomunati da valori altissimi. 

Mi spiego meglio: il volontariato vissuto a servizio di popolazioni provate duramente da calamità naturali è legato a situazioni gravissime di emergenza ed è mosso dal desiderio dirompente di dare il proprio contributo, il proprio aiuto, la propria disponibilità per il bene di tutti; esso non fa necessariamente riferimento a un credo religioso o a un determinato orientamento valoriale; appartiene alla categoria “dell’eccezione”, seppure vissuto spesso con sacrifici grandissimi e, a volte, persino con il dono della propria vita; affonda le sue radici in quelle nobilissime virtù umane che ogni persona porta iscritte nel proprio cuore.

Un servizio umile, nascosto, a volte non riconosciuto

Il secondo, invece, intende essere una risposta d’amore al Signore secondo la logica del Vangelo, un modo per testimoniare la propria fede. Il servizio nelle nostre comunità cristiane spesso è quotidiano, umile, nascoso, diuturno e, a volte, nemmeno pubblicamente riconosciuto. 

Entrambi, però sono testimonianze grandi di dono di sé e di gratuità. 

II tuo interrogativo, tuttavia, fa riflettere: “Come fare per mantenere viva questa disponibilità al servizio gratuito, che ha il sapore e il colore della vita, della solidarietà, della gioia di camminare insieme, della fratellanza?”. 

Oso proporti due ingredienti che ritengo importanti.

Innanzitutto formandoci al “noi”, allenandoci ad uscire dal “io” per passare ad un “noi” più grande; in altre parole educandoci a percepirci “dentro” un tessuto sociale ed ecclesiale nel quale ci riconosciamo membra vive. Questo ingrediente è un ottimo antidoto al virus dell’individualismo, così frequente ai nostri giorni, e il suo effetto benefico è quello di sentire nella nostra carne quella dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, di scoprire che ci sono cari, che ci stanno a cuore perché sono parte di noi stessi.

L’esempio di don Milani: “I care, mi stai a cuore”

Lo diceva con chiarezza e convinzione don Lorenzo Milani con il suo slogan: “I care”. Sarebbe bello che ciascuno lo potesse dire per la propria famiglia, il proprio gruppo, la propria comunità indistintamente civile o religiosa, i fratelli e le sorelle che attendono una mano nella più assoluta gratuità: “Mi stai a cuore, per questo mi rendo disponibile a dare ciò che sono, ciò che ho perché tu possa essere felice”. 

Un altro ingrediente è quello di imparare a guardare la realtà nella quale viviamo; in altre parole, di tenere gli occhi bene aperti sul mondo, per scorgere le situazioni in cui potremmo metterci generosamente a servizio con modalità diverse. Questo ingrediente, però, non è così frequente nelle nostre “dispense”: siamo spesso così distratti da non accorgerci nemmeno di chi ci passa accanto, tutti presi dai nostri pensieri, bisogni, problemi.

Il dono della generosità e della consapevolezza

Questa disposizione, che è corporea e nel contempo interiore – si tratta, infatti, di tenere bene gli occhi aperti innanzitutto interiormente, per poterlo essere anche verso la realtà che ci circonda, – ha come effetto benefico il dono della generosità e della consapevolezza sulla vita e aiuta a combattere il virus dell’egocentrismo e del narcisismo, anche questi fin troppo di moda nel mondo contemporaneo.

Due ingredienti che potrebbero stare benissimo in pillole nei nostri zaini e nelle dispense delle nostre case ed essere usati quotidianamente per una vita migliore, aiutandoci, veramente, a dare un “giro di boa” alla nostra esistenza.

Ebbene, carissima Cristina, il lavoro non manca per coloro che desiderano vivere una vita umanamente ed evangelicamente felice!

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