Il dolore di fronte a un suicidio. Suor Chiara: “Non spetta a noi il giudizio, solo Dio conosce il cuore dell’uomo fino in fondo”

Buongiorno suor Chiara,
nei giorni scorsi purtroppo una persona che conosco si è tolta la vita. Un gesto gravissimo, un grande dolore per tutte le persone che l’hanno conosciuta e amata, e ora si chiedono se potevano fare qualcosa di più per aiutarla, dato che per anni ha sofferto di depressione. Si può pregare per l’anima di questa persona, il suo peccato potrà essere perdonato? Qualcuno ha avuto da ridire sul fatto che il sacerdote abbia celebrato comunque il funerale, io l’ho trovato giusto, lei cosa ne pensa? Un caro saluto e grazie
Francesca

Cara Francesca, la morte è sempre una sofferenza perché il distacco da una persona cara che si è amata, è un vuoto incolmabile che solo il ricordo e il sostegno delle fede possono alleviare.

Il dolore diventa ancora più grande quando una persona conosciuta, e ancor più un familiare, si tolgono la vita. Ne conseguono stati d’animo e sentimenti differenti: dal rimorso al senso di colpa per non aver compreso la sofferenza, per non aver fatto abbastanza, per non essersi accorti di un disagio, per essere arrivati troppo tardi…

Occorre arrendersi al mistero della persona, alla sua libertà, perché ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio. La vita è il primo dono inestimabile che riceviamo dal Padre creatore, Egli ne rimane il sovrano e noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla con gratitudine, perché siamo chiamati ad essere buoni amministratori del dono ricevuto.

Solo Dio conosce il cuore dell’uomo fino in fondo

Di fronte a una scelta drammatica come il suicidio, possiamo innanzitutto offrire la nostra preghiera nella certezza che non spetta a noi il giudizio: Dio solo conosce il cuore dell’uomo fino in fondo, la sofferenza o l’angoscia che hanno portato a togliersi la vita.

Il dono della nostra preghiera, il ricordo nell’Eucarestia sono la forma più bella della vicinanza della Chiesa a questo fratello affinché la misericordia del Padre lo avvolga, gli doni quella pace che forse non ha mai potuto avere nella sua esistenza, lo conduca per le sue vie di salvezza.

Per questa ragione è giusto celebrare il funerale anche a una persona che si toglie la vita. Il Catechismo della Chiesa cattolica, pur affermando la gravità del suicidio, è sensibile alle cause che lo possono causare e che ne attenuano la responsabilità, quali ad esempio, gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore di una grave prova, della sofferenza. La prassi è quella di celebrare i funerali in chiesa anche in caso di suicidio, presumendo che chi giunge a questo gesto estremo manchi delle due condizioni necessarie per compiere un peccato mortale: la “piena avvertenza”, cioè una coscienza esente da pressioni interne o esterne (soggettivamente insuperabili) di quello che si sta per fare, e il “deliberato consenso”, cioè la volontà piena e incondizionata di compiere l’atto in odio alla vita.

La vita riconosciuta come dono e vissuta in pienezza

La Chiesa lascia solo a Dio il giudizio ultimo e definitivo sulla persona e la affida alla sua misericordia anche con la Messa di esequie. In questo tempo nel quale si sta perdendo il senso e il valore della vita e i suicidi, soprattutto dei giovani, sono in aumento, non possiamo rimanere indifferenti e come comunità e società abbiamo la responsabilità di adoperarci affinché la vita sia di nuovo riconosciuta un dono e sia vissuta in pienezza.

Dobbiamo offrire valori grandi che diano un senso al vivere, alla fatica e complessità della vita che non fa sconti a nessuno. La sfida è quella di imparare a stare nella realtà, nelle contraddizioni, nelle fatiche non abdicandole ma affrontandole con fiducia e non da soli, ma insieme, come comunità, come veri fratelli.

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