Don Milani e l’esperienza di Barbiana. “La scuola si può fare solo per amore”

Per celebrare i cento anni dalla nascita di Don Lorenzo Milani, nato il 27 maggio 1923 a Firenze dove è morto il 26 giugno 1967 a soli 44 anni, don Mario Landi traccia un inedito ritratto di prima mano del presbitero, scrittore, docente e educatore cattolico scrivendo “Tutto al suo conto. Don Lorenzo Milani con Dio con l’uomo” (Edizioni San Paolo 2023, pp. 202, 18,00 euro).

L’autore, presbitero dell’Arcidiocesi di Firenze dal 1963, ricorda come significativi siano stati per lui in particolare gli anni 1964-1966 passati nella parrocchia di Vicchio di Mugello come cappellano, con la frequentazione della vicina parrocchia di Barbiana, di cui allora era Priore don Lorenzo Milani. Ed è a questi ricordi personali e alle conversazioni con don Milani che don Mario, nato a Luco Mugello il 27 dicembre 1940, attualmente direttore del Convitto Ecclesiastico, casa di riposo dei sacerdoti della Chiesa fiorentina, attinge in questo nostro dialogo-intervista incentrato sulla figura di un prete che ha detto parole illuminanti e ispirate per il rinnovamento della Chiesa, della scuola, del mondo del lavoro, della società civile, e per l’educazione della coscienza ai valori della pace e della giustizia.

  • Don Mario, Lei è uno dei pochi preti viventi che possono dare testimonianza di don Lorenzo. Quando incontrò il Priore di Barbiana per la prima volta?

«Feci la prima conoscenza di don Milani verso il compimento dei diciotto anni di età, quand’ero seminarista liceale del Seminario di Firenze e stavo passando le vacanze estive nel mio paese natale di Luco Mugello. Ero insieme a un mio amico seminarista. Don Milani era venuto all’Ospedale del Mugello a trovare un suo parrocchiano e aveva celebrato la Messa nell’attigua chiesa; poi nella sacrestia, in compagnia del vecchio parroco, stava deponendo i paramenti sacri. Ci chiese chi eravamo e si meravigliò che dei seminaristi fossero in vacanza, mentre a Barbiana – disse – facevano scuola tutti i trecentosessantacinque giorni dell’anno. Rimanemmo subito impressionati del suo parlare franco e diretto, venato di umorismo. Ci invitò a Barbiana, vi andammo pochi giorni dopo e potei così fare la conoscenza di una realtà “nuova” ».

  • Qual era l’ambiente culturale dal quale proveniva don Lorenzo, la spiritualità cristiana e sacerdotale del suo tempo, tra gli anni Venti e i Sessanta del Novecento?

«Don Milani proveniva da una famiglia ricca di beni materiali e di raffinata cultura: vantava una tradizione di studiosi di prim’ordine; il padre Albano e la madre Alice Weiss erano persone molto colte e curarono una approfondita formazione umana e culturale di Lorenzo e degli altri figli. La spiritualità cristiana del tempo di don Milani comincia a sentire le incrinature della secolarizzazione e della scristianizzazione, ma mantiene una certa solidità, per cui Dio è ancora il punto di riferimento assoluto per la maggioranza delle persone, la vita viene concepita in modo drammatico come terreno di lotta tra il bene e il male ed esige che ognuno si schieri. Oggi comincia a dominare l’indifferenza, unita all’individualismo egoista».

  • La spiritualità di don Milani era di donarsi a Dio donandosi ai poveri?

«La spiritualità di don Milani, cioè la modalità con cui ha dato forma visibile alla sua fede, è di aver fatto della sua vita un dono, sull’esempio di Gesù. Infatti, dopo aver preso coscienza del suo “peccato originale” di aver pensato per vent’anni solo a sé stesso, si accorge di chi soffre nella povertà di mezzi o di cultura, e ama Dio amando le persone che “Dio e le circostanze” gli fanno incontrare».

  • Il volume rivela alcuni particolari inediti del burrascoso rapporto di don Milani con i vertici della Chiesa fiorentina. Ce ne vuole parlare?

«L’inizio dei difficili rapporti tra don Milani e alcuni uomini della Chiesa – fiorentina, ma non solo – sta in un difetto di comunicazione. Lo ha affermato il cardinale Florit davanti alla tomba di don Milani rivolgendosi al sacerdote che l’ accompagnava: “Ma quanto mi avete male informato su questo prete!”. Per cui l’esperienza “nuova” di don Milani non è stata conosciuta nelle sue profonde motivazioni e non è stata condivisa; è stata invece avversata come non opportuna o pericolosa».

  • Nel libro “L’uomo del futuro” Eraldo Affinati racconta la storia di don Milani incrociandola con la sua esperienza d’insegnante. Concorda con la definizione dello scrittore?

«Credo che don Milani sia ”l’uomo del futuro” nel senso che la sua vita, pur legata a un tempo e a un contesto storico preciso, è esemplare, cioè vale per tutti i tempi, per cristiani e non cristiani o atei, per ragazzi e adulti, per ogni situazione; perché è una vita vissuta nella responsabilità, nella ricerca del bene di tutti, specialmente dei più poveri; una vita che fa leva sulla forza della ragione illuminata dal Vangelo. In un tempo di individualismo sfrenato come quello d’oggi, fa scuola la vita interamente “donata” di don Milani, che diventa unica via per la giustizia sociale e quindi per la pace».

  • Papa Francesco nella sua visita a Barbiana il 20 giugno 2017 ha scritto sul libro dei ricordi: “Grazie, Signore,  di averci dato sacerdoti come don Milani”. Quanto manca oggi nella scuola una figura di educatore come quella dell’autore di “Lettere a una professoressa”?

«Don Milani dice che la scuola si può fare solo per amore, cioè volendo il bene degli alunni. E allora viene in ballo il fine della scuola, che non può essere solo dare informazioni scientifiche ma avere chiara la meta a cui tendere: far acquisire in modo vitale l’uguale dignità di tutti gli esseri umani, far superare agli alunni e alle loro famiglie il loro innato egoismo per studiare e lavorare insieme nella ricerca del bene comune, per costruire la civiltà dell’amore. Don Milani dice che l’importante non è sapere che cosa si deve insegnare ma come si deve essere per insegnare; in concreto ci vuole l’esempio. Solo così la società può cambiare in meglio».

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