Romano: riscoprire le opere di Albrecht Dürer in «Un artista al mese» al Macs

Un umanista, ma soprattutto un rivoluzionario del Rinascimento e della tecnica della xilografia. Si tratta di Albrecht Dürer (1471-1528), pittore, disegnatore e incisore, al centro dell’appuntamento mensile «Un artista al mese», avvenuto domenica 11 giugno scorso, nella sala Tadini del Museo di Arte e Cultura Sacra di Romano di Lombardia.

«Quest’appuntamento – introduce don Tarcisio Tironi, Direttore del M.A.C.S. di Romano – fa parte di una serie di incontri nei quali prendiamo all’interno del nostro museo una o più opere, mettendole a tema, facendo in modo che con questa riscoperta possiamo approfittare di una rilettura da parte di una persona che è particolarmente capace di accompagnarci in questo percorso».

In quest’occasione, è intervenuto il professore Massimo Rossi, insegnante di letteratura italiana, scrittore e critico d’arte e curatore della Pinacoteca Gianni Bellini di Sarnico.

Albrecht Dürer è «un artista molto complesso e che ha introdotto in questa sua arte prettamente tedesca l’influenza dei Paesi Bassi, con quel realismo ricercato, rendendolo un maestro unico», afferma il professor Rossi.

Nativo di Norimberga da una famiglia di orefici benestante, Albrecht Dürer è ricordato per aver rivoluzionato «la tecnica della xilografia, della puntasecca e del bulino, rendendolo in assoluto uno degli artisti più importanti del Rinascimento Europeo per aver svecchiato queste manifestazioni artistiche», sottolinea il professor Rossi.

Le sue incisioni erano realizzate per la maggior parte con due tecniche: la xilografia e il bulino. La xilografia consisteva nell’incisione a intaglio su legno che poi veniva pressato di inchiostro e stampato. Mentre, l’incisione con il bulino veniva eseguita con l’omonimo scalpello con il quale l’artista scavava il solco della lastra di rame o zinco e si procedeva al riempimento di spazi e linee incise con l’inchiostro e poi si stampava con il torchio calcografico.

Ma Dürer prima di approcciarsi alle incisioni, è stato un pittore. Nei suoi quadri, «notiamo che Dürer era già portato alla precisione, alla concentrazione e ai dettagli», spiega il professor Rossi. Un esempio è Cristo dodicenne tra i dottori, dipinto nel 1506, in cui «vuole evidenziare, anche attraverso degli aspetti caricaturali, che il bello è buono e che il brutto è cattivo», analizza il professor Rossi. Una perfezione e una padronanza nell’arte che era emersa già da adolescente, quando realizzò il suo primo autoritratto xilografico. Da quello ne ha dipinti, uno a ventidue e uno a ventotto anni. «In questi autoritratti, oltre a una rappresentazione iperrealista, c’è un lavoro di introspezione psicologica e di compiacenza che è sintomo di una lezione rinascimentale che passa da Leonardo Da Vinci, con il quale probabilmente avrebbe avuto una corrispondenza», interviene  il professor Rossi.

Autoritratto di Albrecht Dürer a soli 22 anni

Persino, «in opere  – aggiunge il professor Rossi – in cui rappresenta gli insetti, emerge una ricerca del particolare e dell’iperrealismo, come nello scarabeo e nel leprotto».

Nel 1498, rientrato in Germania dal suo viaggio in Italia, ha aperto la sua bottega a Norimberga e ha cominciato ad essere un pittore riconosciuto, vivendo una condizione economica soddisfacente.

Tra il 1514 e il 1517, Albrecht Dürer ha realizzato i suoi pezzi forti, attraverso le incisioni. Il diavolo, il cavaliere, la morte, San Girolamo nello studio e Melancholia o Melencolia; quest’ultimo è esposto all’interno della sala Tadini del museo romanese.
Melancholia o Melencolia è un’incisione a bulino ed è datata 1514, prima della riforma di Martin Lutero. Diversamente dal termine “malinconia”, la “melancholia” è un termine che deriva dal greco e veniva definito da Aristotele come la “bile nera”, ovvero lo stato d’animo di tristezza, inquietudine e malumore, di cui, nell’antica Grecia, erano affetti i più grandi intellettuali del tempo.

Melancholia, 1514, xilografia di Albrecht Dürer

Ma nell’incisione di Dürer, la “melancholia” è un soggetto molto complesso: la protagonista è una donna che tiene in mano un compasso ed è seduta con un atteggiamento meditativo davanti a una costruzione di pietra. In più, «in quest’opera, sono presenti anche degli strumenti da falegname, un putto seduto su una macina, un poliedro dureriano, il quadrato magico di Giove, una campana, una clessidra e una stella a punta», specifica il professor Rossi.

In realtà, come dice il professor Rossi, leggendo la rilettura di Cacciari, «Melancholia è la rappresentazione dell’anima del genio dell’arte che in uno stadio di Saturno, dal nigreo (oscurità) deve arrivare all’albeo (sublime), attraverso due forze positive, Saturno e Giove; il bimbo, al centro della composizione, è la chiave, in quanto l’opera non può rinascere dalla stessa persona che l’ha abbandonata e quindi si rinnova, anche se le persone di un tempo scompaiono, procurando malinconia».

Quindi, «secondo la visione di Cacciari, nei confronti di quest’incisione, non c’è nessuna particolare simbologia alchimistica, nessun determinismo astrale, ma solo una grande pista per l’uomo per diventare qualcosa di sublime, in una dimensione spirituale», conclude il professor Rossi.

Infine, in merito alle incisioni di Dürer, nella sala Tadini del Macs sono esposte altre due incisioni in xilografia: L’incredulità di san Tomaso del 1510 circa con la firma (monogramma) in alto a destra e La sepoltura di Cristo del XVIII secolo con la firma (monogramma) in alto a sinistra.

La sepoltura di Cristo, 1510, xilografia di Albrecht Dürer

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