Cammino sinodale, una questione di metodo e stile, non (solo) di numeri

Parliamo del Cammino sinodale: siamo sicuri che l’importante siano i numeri? Nella diocesi di Bergamo, è vero, hanno partecipato alla fase narrativa di ascolto circa il 26% delle parrocchie, 102 su 389, 13 unità pastorali su 31, 12 consigli pastorali su 13 e 22 realtà tra associazioni, movimenti, uffici di curia, consiglio pastorale diocesano. 

È una minoranza, e il vescovo Francesco Beschi nella serata di restituzione del lavoro svolto nell’ultimo anno ha sollecitato ad ampliare il coinvolgimento di persone, comunità e gruppi, ma dopo tre anni di pandemia, in una fase difficile di passaggio e ripartenza, con le parrocchie in comprensibile affanno, spiazzate da una situazione radicalmente mutata, era tutto sommato prevedibile che fosse così.

Non si tratta, comunque, di una partecipazione trascurabile: si sono svolti 320 incontri sinodali che hanno coinvolto circa tremila persone. Al gruppo diocesano di coordinamento sono arrivate 600 pagine di sintesi del lavoro svolto, suddivise nei quattro temi definiti “Cantieri di Betania”, scelti dopo il lavoro di ascolto del primo anno.

Gli argomenti, molto ampi, scelti a livello nazionale per alimentare la fase narrativa delle esperienze erano questi: il dialogo con i diversi “mondi”, la Chiesa come “casa”, quindi l’accoglienza, l’ospitalità, la famiglia, la formazione spirituale, il legame “tra Chiesa che serve e Chiesa che ascolta il Maestro”, con il rapporto tra carità e fede. A questi tre cantieri o macro-argomenti, la nostra Diocesi, come indicato nella Lettera circolare di monsignor Beschi dello scorso anno, ha aggiunto come quarto il cantiere “dell’autorità e della condivisione della responsabilità”.

Al momento di chiudere il primo biennio di lavori dedicati alla fase narrativa e di ascolto e di aprire la seconda fase, definita “sapienziale” è arrivato quindi il momento di fare il punto della situazione.

Qualcuno ha segnalato il rischio che il confronto si limiti alle persone “che già fanno parte della comunità”, senza dunque raggiungere “i lontani” com’era indicato nella missione e negli intenti: “anche questo tipo di confronto – ha segnalato il vescovo – è comunque utile e prezioso”.

Se è vero, come ha sottolineato don Paolo Carrara, coordinatore del gruppo diocesano che si occupa del Cammino sinodale, che questo lavoro “non produce frutti immediatamente”, ma solo col tempo, il tesoro sta nel metodo e nello stile sinodale, una scoperta che sta incidendo in modo decisivo facendo percepire un cambiamento in atto in diversi luoghi e livelli (diocesano, nazionale, continentale) e che si è manifestata in modo potente anche nella nostra diocesi: non è scontato creare un luogo di confronto in cui ognuno possa prendere la parola, con un tempo pari a quello degli altri, esprimere le proprie istanze, far valere le proprie opinioni, ma anche semplicemente raccontare l’esperienza di fede che sta compiendo. È un po’ come accendere il motore e farlo “scaldare” per intraprendere una strada che ancora non si vede, fiduciosi che “il navigatore” la mostrerà col tempo.

Alcuni moderatori degli incontri sinodali diocesani lo hanno sottolineato in modo spontaneo e coinvolgente: presi come siamo dagli impegni comunitari, dalle cose da fare, dalla “routine”, non sempre siamo capaci di trovare gli spazi giusti per “narrare” e confrontarsi sulle esperienze personali, quelle che hanno il potere di cambiare lo sguardo e il cuore, e più di tutto incidono sul modo di essere comunità cristiana. Il Cammino sinodale, però, ne ha offerto l’occasione. E sarebbe bello che questa opportunità si allargasse ad altri.

Cosa succederà l’anno prossimo? Dopo la fase narrativa si apre quella sapienziale, di discernimento, e poi quella profetica, nel 2025. È in fase di preparazione, e sarà pubblicato presto uno strumento di lavoro, “Instrumentum laboris”, che tiene traccia delle sintesi e contiene linee guida per il lavoro dell’anno prossimo. Sono state individuate cinque “Costellazioni tematiche”: la missione secondo lo stile di prossimità, l’importanza dei linguaggi e della cultura come riflessione sulla vita, la formazione, strutture materiali, amministrative, pastorali e spirituali. “Il nostro impegno – ha chiarito il vescovo – sarà quello di creare ponti tra la Chiesa di oggi e quella che vorremmo per il futuro”. Il video della serata, le sintesi del lavoro diocesano e i materiali di approfondimento si possono trovare qui.

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