Il continente digitale, Paolo Curtaz: una frontiera di missione, da coltivare con pazienza

Accanto ai cinque continenti Europa, Asia, Africa, America, Oceania, il Sinodo ha creato un posto per il sesto, immateriale eppure vastissimo, il “continente digitale”. Lo ha raccontato nei giorni scorsi al Meeting dei giornalisti di Grottammare sul “giornalismo di prossimità” il giornalista e teologo Paolo Curtaz.

Delegato all’assemblea continentale europea che si è svolta a febbraio a Praga proprio come abitante di questo “continente digitale”, Curtaz ha colto al volo questa possibilità di ampliare gli orizzonti: “Tutti noi come attori della comunicazione siamo parte di questo continente. I social rappresentano una delle forme di connessione interpersonale più attive e coinvolgenti che esistono al mondo. I cristiani sono presenti in essi non solo nelle forme e nei profili istituzionali, ancora abbastanza limitati. C’è tutto un sottobosco un mondo di cristiani che abitano la rete e la usano anche per parlare della loro esperienza di fede. Potremmo chiamarli “influencer”, anche se è un termine che non mi piace molto”.

Paolo Curtaz è uno dei “missionari digitali” chiamati da Lucio Adriàn Ruiz, segretario del Dicastero per la comunicazione a partecipare al progetto “La Chiesa ti ascolta”. “È nato un percorso in collaborazione con il dicastero per proporre un questionario ai nostri follower, dal quale sono emersi elementi estremamente interessanti”.

Il desiderio di Papa Francesco è stato di coinvolgere le persone che parlano di fede e la testimoniano sui social come punti di snodo per poter “ascoltare” anche il mondo variegato della rete: “Sono stato coinvolto insieme ad altri grazie al passaparola, perché non esiste un registro degli influencer. Monsignor Ruiz segretario del dicastero ci ha chiesto di aiutare il Sinodo proponendo un questionario ai nostri follower. La proposta è arrivata ad agosto, con l’impegno di raccogliere le risposte entro venti giorni. Ho accettato insieme agli altri anche se l’idea sembrava folle”.

Sono stati coinvolti 22 Paesi e 280 influencer in nove lingue, presenti su Facebook, Twitter e Instagram. Il potenziale bacino d’utenza era di venti milioni di persone. Al questionario hanno risposto 110 mila persone, di cui 13 mila in Italia. “Un risultato straordinario e inaspettato – ha sottolineato con soddisfazione Curtaz – Le risposte sono state molto interessanti perché i social coinvolgono persone di ogni tipo, e hanno espresso una loro opinione pur non essendo dentro la Chiesa. Ogni “missionario digitale” ha prodotto la sintesi dei questionari proposti ai suoi follower.

Il 35% dei partecipanti si è dichiarato non appartenente alla Chiesa. Di questi quasi la totalità si autopercepisce come escluso dalla Chiesa. Ancora più divertente è che l’8% si è dichiarato ateo, eppure si è lasciato coinvolgere nel parlare di temi legati alla religione. Sono persone positivamente spiazzate e coinvolte dall’appello alla partecipazione. Interessante anche il coinvolgimento di tanti giovani, più facili da incontrare in rete che nelle parrocchie.

“Per me – ha commentato Curtaz – è stato un onore partecipare da delegato all’assemblea continentale europea di Praga. C’erano 250 delegati in presenza e altrettanti online. Nei primi 4 giorni si sono alternate le relazioni di ognuno dei 45 Paesi coinvolti in Europa, ognuno aveva 6 minuti per raccontare cosa fosse emerso nella fase di ascolto. Poi ci si divideva in gruppi di lavoro, 12 in presenza e 12 online, suddivisi per gruppi linguistici. Si è seguito il metodo sinodale, indicando quindi “cosa mi ha colpito in positivo, cosa mi ha creato difficoltà e non condivido, e se ci sono punti che possiamo aprire per il futuro”. Abbiamo lavorato per 10 ore al giorno. Nel mio gruppo c’erano francesi, svizzeri, lussemburghesi, un solo prete irlandese. È stata un’esperienza molto forte. Mi ha colpito il metodo, che ha dato lo stesso spazio a tutti i Paesi, senza gerarchia. E ho notato che la stragrande maggioranza dei temi e delle sollecitazioni erano comuni a molti”. 

Anche all’interno dell’Europa ci sono grandi differenze, come ha notato Curtaz: “Ci sono le chiese “nuove” rifondate nei Paesi ex comunisti che hanno ritrovato il cattolicesimo. Mi ha impressionato scoprire che l’Albania è stata la Chiesa europea con il maggior numero di martiri degli ultimi 500 anni. Oppure che in Turchia l’unica azione pastorale possibile è quella di mantenere la Chiesa aperta. I racconti di realtà diverse mi hanno fatto capire quanto la mia visione sia estremamente provinciale. Noi italiani facciamo molta fatica a guardare oltre i nostri campanili. Anche per questo mi ha colpito molto ascoltare altri con esperienze diverse”.

Da parte loro le Chiese “storiche” dell’Europa Occidentale manifestano difficoltà affini. “Uno dei temi che è emerso con forza, per esempio – ha aggiunto Curtaz – è il clericalismo, chi prende decisioni nella Chiesa. Un altro elemento che crea preoccupazione è la distanza tra prassi pastorale e teologia, in particolare affrontando alcuni temi come il ruolo delle donne e il rapporto con le minoranze, come per esempio Lgbtq”.

Le difficoltà emerse hanno portato i delegati sinodali a interrogarsi su quanto la Chiesa sia credibile oggi parlando di Gesù Cristo, toccando il tema degli scandali e di ciò che le persone considerano imperdonabile.

La discussione non è stata affatto neutra, ma molto accesa: “Noi come continente digitale siamo partiti da questionari di persone lontane che contenevano quindi maggiore problematizzazione, con la prospettiva di chi, da lontano, con uno sguardo attento riesce subito a cogliere le difficoltà”.

Curtaz ha rimarcato l’importanza del metodo e dello stile: “Non è mai successo nella storia della Chiesa che venissero ascoltate così tante persone “dal basso”. All’inizio sembrava una follia, ma è stato reso possibile. C’è stata una forte evoluzione grazie al metodo sinodale, che può cambiare moltissimo la situazione di una comunità. È destabilizzante perché bisogna ascoltare sul serio, accettare che ci siano differenze di vedute e cercare di armonizzarle. È un modo, non è una soluzione, ma è una grande lezione su come si può abitare la Chiesa. Particolarmente prezioso questo sistema, ribattezzato dialogo spirituale, che si traduce nel tentativo autentico di tornare alle origini e confrontarci evitando strappi”.

  1. che bello una chiesa che fatica ad avanzare ma che c’è tanto, tanto desiderio di bene, coraggio, il Signore non starà a guardare invano questi sforzi….coraggio, coraggio….

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