L’anima perduta della scuola: “Non basta essere insegnanti, bisogna essere educatori”

Per riconquistare l’anima perduta della scuola, con uno sguardo particolare al ruolo dell’insegnamento della religione, troviamo i suggerimenti per le parole (e le domande) giuste nel volume“L’anima della scuola” (Edizioni San Paolo 2023, Prefazione di Andrea Monda, pp. 141, 13 euro) scritto a quattro mani da Rossella Barzotti, psicologa e psicoterapeuta e da Roberto Cetera, teologo, giornalista dell’“Osservatore Romano”, ex-professore di religione.

“Un soggetto che non si sofferma a riflettere su se stesso, che non si apre a una relazione dialogica col mondo, rischia di smarrire la sua anima. Vale anche per la scuola”, scrivono gli autori. Ne abbiamo parlato con Roberto Cetera.

  • Nella Prefazione Andrea Monda vi definisce come due “umanisti”. È d’accordo?

«Sì, prima di lavorare come giornalista all’”Osservatore Romano”, ero, come Andrea, un insegnante di religione. Sia io sia la Prof Barzotti ci facciamo ispirare da questa ventata di nuovo umanesimo che propone Papa Francesco. Come scrive nella Prefazione Monda, il Santo Padre attraversa tutto il libro, credo che le caratteristiche di questo pontificato siano due. La prima è il ritorno a Cristo, cioè c’è un forte senso di cristianità nell’azione e nelle parole di Bergoglio, il Cristo del Vangelo. La seconda caratteristica è questa proposta di umanesimo globale, infatti Padre Spadaro ha definito Papa Francesco come l’unico leader globale che ha una proposta di umanesimo globale».

  • Il libro è dedicato a Don Lorenzo Milani. Può essere definito “un buon educatore” che “punta all’essenziale, che non si perde nei dettagli, ma vuole trasmettere ciò che veramente conta, perché il figlio o l’allievo trovi il senso e la gioia di vivere”, rifacendoci all’esergo del libro tratto da una frase di Papa Francesco?

«Sì, abbiamo voluto dedicare il volume a don Lorenzo innanzitutto perché quest’anno ricorrono cento anni dalla nascita del prete di Barbiana. Ma soprattutto perché don Lorenzo ha avuto l’intuizione, che è alla base del ragionamento che abbiamo voluto declinare nel testo, cioè che non basta essere insegnanti, occorre essere educatori. L’insegnante è colui che trasmette le proprie competenze e le proprie conoscenze, l’educatore è quello che trasmette se stesso. Don Lorenzo ha trasmesso ai suoi ragazzi tutta la ricchezza della sua vita. Ritengo che un buon insegnante debba riuscire a trasmettere quanto di più profondo, valoriale abbia. Certo, se poi l’insegnante non ha niente dentro da trasmettere, è un po’ difficile… E questo è il problema della scuola di oggi».

  • Si può recuperare  l’anima della scuola?

«Sì, si può recuperare se al centro si pone il tema della relazione. Come scriviamo nell’Introduzione, quando si parla di scuola si parla prevalentemente dell’hardware della scuola, l’organizzazione, i contratti, l’edilizia scolastica, tutto ciò che ha a che fare con i numeri. Paradossalmente quello che sta scomparendo nella scuola è la parola. Le relazioni tra i vari componenti, studenti, insegnanti e genitori sono sclerotizzate, non c’è più attenzione per il prossimo da te. Questi tre componenti sono in permanente conflitto tra di loro, un conflitto non salutare. Tutto ciò perché si è svilita la relazione, quella umanità di cui parlavo prima. La relazione è la grande assente della scuola, che è diventata come un supermercato in cui si va, si compra, in questo caso il sapere, peraltro già accessibile sulla rete e si paga con una pagella. Una volta c’erano i piccoli negozi di alimentari, dove il gestore conosceva i gusti dei propri clienti e neanche dovevi dire cosa volevi acquistare. La scuola da negozietto comunitario è diventata un supermercato super veloce. Quindi ristabilire la relazione, questa è la nostra proposta per restituire un’anima alla scuola, la responsabilità più grande ce l’hanno gli insegnanti anche perché i ragazzi sono sempre pronti alla relazione quando sentono che qualcosa gli stai dando. Il problema è che è molto cambiata la figura dell’insegnante diventato un impiegato del sapere che stride con il concetto di educatore. Il fatto è che è venuta meno la vocazione all’insegnamento, forse perché è visto come un lavoro di ripiego».

  • I primi destinatari di questo libro sono i professori di religione, che partono avvantaggiati rispetto ai loro colleghi. Ce ne vuole parlare partendo anche dalla Sua esperienza?

«Sì, l’insegnamento della religione, che non è l’insegnamento della dottrina cristiana, gode di vantaggi enormi, perché incontra e sposa quell’esigenza di cui parlavo prima, cioè quella di una formazione valoriale, caratteriale. In un Paese sempre più secolarizzato, laicizzato come l’Italia, l’80/90% dei ragazzi continua a scegliere l’ora di religione, perché la concepiscono come un’ora di libertà, di domande più che di risposte. Ora l’ora di religione è cambiata, i ragazzi pongono domande esistenziali. Quindi, i professori di religione, a dispetto della considerazione marginale che hanno nel sistema educativo, hanno un potenziale di spazio molto alto. Però devono essere anche loro attrezzati, anche se fare il professore di religione è una vocazione».

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