Il Cre mette al centro la cura. Suor Chiara: “Non lasciamo soli i ragazzi, offriamo esempi e modelli”

Buongiorno suor Chiara,
ho visto che quest’anno il tema del Cre diocesano, che si svolge anche nella mia parrocchia, è la cura. L’ho trovato molto interessante perché in generale nei rapporti fra gli adulti mi capita di notare spesso un certo formalismo e qualche “incuria” piccola e grande, anche nelle comunità cristiane. Forse allenando i ragazzi da piccoli all’attenzione agli altri cresceranno diversamente. Cosa ne pensa? Un caro saluto
Erminia

Cara Erminia, il tema della cura è attuale più che mai nelle nostre relazioni: con le persone, con la creazione, con l’ambiente nel quale viviamo, con le cose, persino con il mondo intero.

I frequenti episodi di violenza, di abbandono, di degrado che accadono dicono l’urgenza di recuperare questa dimensione importante della vita, senza la quale tutto cade nel “pressapochismo” e nello scialbore.

La cura e il servizio non sono un optional

Spesso, infatti, si ha la percezione che la cura e il servizio siano un optional, dei quali si può anche fare a meno; per questo ben venga il tema del Cre delle diocesi lombarde: “TuXTutti – e chi è il mio prossimo? -”  che, con la ricchezza delle sue iniziative, dei giochi e dei laboratori, si pone l’obiettivo di educare e formare i bambini, i preadolescenti e gli adolescenti alla cura e al servizio degli altri, dell’ambiente in cui vivono e, in senso lato, del pianeta intero, alla scuola del Buon Samaritano, che rivela i segreti per non sprecare la vita. 

Il sussidio di presentazione a questa iniziativa oratoriana parla esplicitamente di “Cura di sédel proprio corpo, della propria mente, della propria storia, dei propri limiti e delle proprie risorse. (…)

Cura dell’altro: che è vicino e amico, che è lontano e diverso, che è povero e sfiduciato, che sento minaccioso, che mi infastidisce, che mi interpella o che mi ignora, che mi capita o che scelgo per condividere la vita. (…)

Cura della comunità e delle istituzioni: perché come ricordava sempre San Giovanni Bosco, attraverso l’oratorio, desideriamo crescere “buoni cristiani e onesti cittadini”. (…)

Cura del creato: è la nostra casa comune che siamo chiamati a custodire e coltivare per il bene di tutta l’umanità, scardinando la logica della padronanza e dello sfruttamento per restituire la percezione di sacralità. (…)

Cura della mondialità: attraverso la quale imparare ad essere uomini e donne capaci di fraternità e di pace, riconoscendoci parte di una sola famiglia umana”. (…)

Attenzione a non creare solo un’isola felice

Declinazioni concrete del grande tema della cura, così urgente a i nostri giorni! La tua osservazione, però, fa pensare, cara Erminia! Teoricamente “allenando i ragazzi da piccoli all’attenzione agli altri cresceranno diversamente”, – scrivi – ma il rischio che i Cre possano rimanere “un’isola felice”, un poco staccata dalla realtà sociale nel quale i ragazzi sono inseriti, è reale.

Qualcuno obbietterà che l’importante è seminare; verissimo, ma se lascio il seme seminato in un ambiente arido o eccessivamente umido che ne impediscono la crescita, il frutto è scarso o addirittura nullo.

Non voglio fare l’uccello del cattivo augurio, ma sollevare un problema reale: quello della “scollatura”, cioè della separazione tra ciò che il ragazzo vive in ambito oratoriano e quello che assorbe, inconsapevolmente, nella società in cui vive, imbevuta di valori che poco si accordano con il Vangelo. 

Che fare? Abbiamo bisogno di profeti e di testimoni autentici che ci aiutino a unificare la nostra vita, il nostro mondo, la società, la politica, l’economia, ecc. attorno all’unico e insostituibile perno del Vangelo.

Cominciamo dai ragazzi? Bene! Non lasciamoli soli, però, ma sosteniamoli con l’esempio della nostra vita e delle nostre scelte!

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