Grazia, in viaggio con i giovani alla GMG: “Questa esperienza è come un seme per crescere secondo il Vangelo”

Accompagnare i giovani alla GMG non è un impegno di tutti i giorni, né tantomeno una passeggiata. Come in ogni cammino che si rispetti, non si tratta solamente di dare indicazioni o consigli, ma di essere un compagno di viaggio che cammina spalla a spalla accanto a te. Tutto ciò significa esserci, giocarsi con tutto se stessi come ha scelto di fare Grazia. Grazia Zambelli ha 52 anni e vive nella parrocchia di San Giuseppe a Dalmine. È un’infermiera e lavora all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, luogo in cui ha la possibilità di entrare in contatto con persone molto giovani. In oratorio segue gli adolescenti in seconda superiore e accompagna il cammino del gruppo giovani. Con lei proviamo a comprendere cosa significhi – da donna laica – accompagnare i suoi giovani in GMG.

Quali motivazioni ti hanno spinto e ti spingono ad accompagnare i giovani in GMG?

Per rispondere, in realtà, dovrei spiegarti perché accompagno i giovani durante tutto l’anno. Considero la GMG come una delle tappe del percorso. Accompagno i giovani perché, per me, da adulta, significa accogliere l’invito a guardare qualcosa di più grande. Questo qualcosa è la vita dei giovani, la loro esistenza, ciò che accade loro: l’università, il lavoro, la decisione di vivere da soli. Ma anche l’inquietudine di mettere ordine nella vita, di cercare il proprio posto nel mondo. Si tratta anche di scoprire l’amore, di fare i conti con il noi, non più solo con l’io. È affrontare le sofferenze, le crisi, le sconfitte.

Cerco di sostenerli mentre cercano di rendere fecondo questo tempo. Il secondo motivo per cui cammino con loro è l’idea di viaggiare insieme verso Qualcuno di grande, che, per definizione, è giovane, perché il Dio di Gesù è il Dio della vita, degli sguardi, della tenerezza, della gioia. Fa sorridere che Gesù avrebbe l’età anagrafica per partecipare alla GMG.

Perché un giovane sceglie di andare in GMG? Con che timori e aspettative parte?

Penso decida di partire perché contagiato (perdona la battuta da infermiera!). Come un virus pandemico arriva ovunque, anche e soprattutto a chi non lo aspetta. Il giovane sceglie di andare per la gioia che percepisce nei racconti degli appuntamenti, degli incontri, dei cori. Anche e forse soprattutto gli aneddoti, che raccontano scambi tra diverse nazionalità e popoli del mondo. Ti contagiano le foto, quello che vedi. La testimonianza aiuta, spinge a mettersi in viaggio e a vivere in prima persona l’esperienza.

Per quanto riguarda, invece, timori e aspettative, penso che siano diverse per età ed esperienze pregresse. Qualcuno parte per vivere un’esperienza straordinaria con il gruppo, qualcuno semplicemente attratto dalla città, qualcuno per fare gruppo, altri per trovare un momento o una parola significativi. Non partono per la vacanza, questo è certo. Credo, poi, che le preoccupazioni siano per lo più legate a situazioni concrete, come il cibo e gli alloggi (ride, n.d.r.).

La GMG ha costituito, per te, un momento di svolta, di conversione? E per i giovani? I cambiamenti che induce sono duraturi o dettati dall’entusiasmo del momento?

Premetto che ho vissuto tre GMG, due da giovane e una da accompagnatrice. Ricordo che Parigi aveva avuto un’affluenza straordinaria, inaspettata, quella di Roma è stata meravigliosa, mentre a Madrid, da accompagnatrice, ho vissuto un’esperienza di servizio, a causa di qualche imprevisto, ma è stata comunque un’esperienza ricchissima. Personalmente non hanno segnato delle svolte o delle conversioni, ma, piuttosto, conferme belle, gioiose. La prima è stata la conferma della decisione di credere, la seconda quella di essere parte di una comunità, di una Chiesa in cui decido di vivere.

Per i giovani, dal mio punto di vista, non si va avanti nella quotidianità grazie alla GMG. Dopo un po’ di tempo smetti di pensarci tutti i giorni, ti allontani dai ricordi, dall’intensità della GMG. La GMG, però, almeno dal mio punto di vista, non è l’evento in sé, ma è un seme che viene gettato. I frutti li porta dopo, molto dopo, solo se il ricordo è custodito nel modo giusto. L’impronta risulta visibile nel tempo.

Ciascuno si porta a casa qualcosa di ciò che ha vissuto in quei giorni, non riesce a portarsi a casa tutto. Si vede davvero come il Vangelo sia vivo: non una teoria, ma qualcosa che percorre il vissuto di ciascuno. Anche solo una parola o un incontro accendono una novità che nel tempo porterà frutto. Non ci sono, quindi, conversioni di punto in bianco, ma c’è la pazienza quotidiana. Io ho capito solo dopo anni che cosa mi avesse portato la GMG.

Cosa rende la GMG un’esperienza unica? Perché non è paragonabile alle altre esperienze che un giovane può vivere?

Penso sia nell’eccezionalità dell’evento. Lo si vede nel nome stesso: lì c’è il mondo. Ti accorgi di far parte del mondo, di un universo molto più grande di quello che sei abituato a vivere. Vedi i colori di bandiere, zaini, cappelli, magliette. Lo si vede molto bene nelle foto dall’alto che sembrano una coperta patchwork.

Realizzi che lì ci sono giovani come te alla ricerca della verità. Per molti, Dio non è presenza familiare, anzi, è tenuto a distanza, trattato con indifferenza, ma non penso che qualcuno possa restare indifferente se è circondato da giovani che aderiscono ad un Vangelo che non è vissuto come una gabbia, ma come una libertà. Un giovane non resta indifferente se vede un altro giovane che prega. Altro motivo per cui è speciale è la presenza del Papa che ti dice che anche lui è lì, in cammino come te, con te.