Il Piccolo Principe secondo Enzo Romeo: “Un invito a cercare la bellezza invisibile”

“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene se non con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. 

Ottant’anni fa lo scrittore, aviatore e militare Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, noto anche con lo pseudonimo di Tonio (Lione, 29 giugno 1900 – Precipitato in mare, 31 luglio 1944), pubblicò a New York uno dei libri più venduti dopo la Bibbia e più tradotti al mondo: “Il Piccolo Principe”, Le Petit Prince. Un capolavoro senza tempo dedicato all’amico Léon Werth, corredato dagli acquarelli dello stesso Saint-Exupéry e rivolto ai bambini, ma nel corso degli anni acquistato e regalato anche da intere generazioni di adulti come simbolo di  amicizia e affetto. 

La copertina del volume

Enzo Romeo, caporedattore vaticanista del Tg2 e saggista, per celebrare la ricorrenza ha scritto “Le verità del Piccolo Principe” (Àncora Editrice 2023, Collana “Minuscoli”, pp. 112, 11,00 euro). L’autore, che si considera un vecchio amico di Antoine de Saint-Exupéry e pensa di stare camminando con lui e con il piccolo principe nel Sahara alla ricerca di una sorgente rinfrescante, in queste pagine rilegge in controluce questa fiaba, accostandola alla vita di Saint-Exupéry, consentendo di scoprirne le verità nascoste. 

“Non parto per morire. Parto per soffrire e così comunicare con i miei. (…) Non desidero farmi uccidere e tuttavia accetto volentieri di addormentarmi”.

Abbiamo intervistato Enzo Romeo, nato a Siderno nel 1959, che collabora ai periodici “Credere” e “Jesus” e da inviato ha seguito le vicende internazionali degli ultimi decenni, oltre ai viaggi dei pontefici da Giovanni Paolo II a Papa Francesco. 

  • Quando ha letto per la prima volta questa fiaba poetica ricca di significato?

«L’ho letta da adulto. La prima volta non mi era piaciuta, mi sembrava troppo intellettualoide. Poi ho indossato gli “occhiali” giusti, quelli del cuore, e allora l’ho apprezzata in tutta la sua bellezza e profondità».

  • Qual è il segreto dell’eterna fascinazione dell’incontro tra un aviatore, costretto per un guasto a un atterraggio di fortuna nel deserto, e “un bambino dai capelli arruffati con al collo una sciarpa svolazzante”?

«Ciò che ci attrae è soprattutto il fascino dell’amicizia, ma potremmo dire anche dell’amore. L’amicizia tra l’aviatore e il Piccolo Principe, tra questi e la volpe, tra il Piccolo Principe e la sua rosa… L’amicizia e l’amore personale e universale, quello tra noi e il creato, tra noi e l’universo».

  • Per la redazione del testo Antoine de Saint-Exupéry trasse ispirazione dalla sua prima infanzia?

«Sì, ma non solo. L’infanzia era il suo “paese natale”, quello che non si dimentica mai e a cui ci si lega per sempre. Però anche le sue avventure da adulto (gli amori, i raid, il deserto, la Patagonia, gli incidenti, la guerra…) sono stati sempre vissuti dal pilota-scrittore con un che di infantile, con una ingenua purezza che è poi quella che dà sapore a tutti i suoi scritti».

  • “Siamo fuor di tutto, e il nostro motore, esso solo, ci tiene sospesi e ci fa durare in questo bitume. Siamo affidati alla discrezione di Dio”. Che cosa significava per Saint-Ex volare di notte?

«Vuol dire affidarsi all’Assoluto, sentire di essere immersi in un grande “tutto” impercettibile, immateriale, eppure essenziale per la propria esistenza, come il bambino non ancora nato nel ventre della madre».

  • “Sembrerò morto e non sarà vero” dice il piccolo principe congedandosi dal pilota. Una frase profetica pensando alla scomparsa di Saint-Exupéry e la vana ricerca del suo corpo durante la Seconda guerra mondiale, quando nel 1944 scomparve nel Mar Mediterraneo con il suo aereo?

«Direi proprio di sì. Saint-Exupéry scrisse Il Piccolo Principe mentre si trovava esule a New York, desideroso di tornare nella sua squadra di piloti ricognitori per contribuire a salvare la patria dall’invasore nazista. Era pronto a dare la vita per questo, per il salvamento della propria idea di mondo e di umanità. L’opera letteraria è nutrita in lui dalla vita; le due dimensioni sono inestricabili. La vita ha scritto il miglior finale immaginabile per Saint-Exupéry, un finale drammatico e insieme enigmatico, in cui il “qui e ora” della morte lascia spazio un “dopo” che possiamo solo percepire ma che è l’essenza del nostro io». 

  • Ha definito Saint-Exupéry come “un esploratore dell’Assoluto”. È anche per questo che nel “Piccolo Principe” si sente forte l’afflato religioso?

«Il suo era un animo religioso, nutrito anche di letture bibliche. Saint-Exupéry era interiormente convinto che la morte non ha l’ultima parola, che c’è un “territorio” sconosciuto dove si dovrà approdare e lì finalmente non ci saranno più domande da porsi, perché si troverà la risposta a ogni cosa».

  • “Non si vede benese non con il cuore”. È questa la verità più evidente che scaturisce dalla lettura della favola e da tutta la letteratura di Saint-Exupéry?

«Sì, ma non è un assioma, è un invito alla ricerca di ciò che più conta, di quella “invisibile bellezza” che abbiamo davanti e che pure non riusciamo a cogliere. Le verità del Piccolo Principe sono quelle che si nascondono nell’angolino più intimo di noi stessi, di ciascuno di noi».