Pino Puglisi, un prete contro la mafia. Daniele Procaccianti: “Le sue armi erano l’amore e la fiducia”

Memorabile la storia di Pino Puglisi e della sua lotta quotidiana contro la mafia, attraverso la quale ha aiutato tanti ragazzi a non essere vittime del sistema.

In occasione del 30° anniversario della scomparsa di Don Giuseppe Puglisi, detto Pino (Palermo, 15 settembre 1937 – 15 settembre 1993), ucciso a Palermo da Cosa Nostra il giorno del suo 56° compleanno, il giornalista e scrittore Danilo Procaccianti pubblica “Un prete contro la mafia” (DeAgostini 2023, pp. 276, 12,90 euro). 

L’autore racconta ai lettori più giovani la “Storia di Don Pino Puglisi e dei suoi ragazzi”, come recita il sottotitolo del testo, allo scopo di tenere viva la memoria del parroco del quartiere palermitano di Brancaccio. 

La copertina del volume

Abbiamo intervistato Danilo Procaccianti, autore per la trasmissione TV “Report”, il quale grazie alle sue inchieste, ai reportage sulla mafia e la criminalità organizzata (ha vinto, tra gli altri, i premi “Ilaria Alpi” e “Rocco Chinnici”), vuole diffondere il ricordo e l’esempio di 3P (Padre Pino Puglisi)  tra le nuove generazioni.

  • Papa Francesco ha definito Don Puglisi “un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile”. Desidera parlarci della vocazione di insegnante di Don Puglisi pensando anche all’esperienza nel paese di Godrano, dilaniato da una feroce rivalità tra due famiglie mafiose? 

«Don Puglisi aveva capito fin da subito che si sarebbe potuto smuovere qualcosa solo agendo sulle coscienze dei bambini.Per gli adulti ormai era tardi, se avesse potuto fare qualcosa, pensando al futuro, 3P (nomignolo con cui in confidenza lo chiamavano i ragazzi ndr) avrebbe dovuto rivolgersi ai ragazzini. La madre desiderava che uno dei figli si fosse fatto prete, quando lo chiese direttamente a Pino, lui rispose a sua madre che voleva fare l’insegnante e non il prete. Questo perché l’insegnante può agire liberamente, invece il prete è costretto da questa burocrazia e non può fare la rivoluzione. Questo era il suo convincimento. A Godrano c’era questa faida tra due famiglie mafiose, in realtà quando Puglisi arrivò gli omicidi si erano un po’ fermati, però c’erano queste due famiglie che si facevano la guerra anche non parlandosi, sedendosi in chiesa a Pasqua e a Natale lontani, proibendo ai figli di fare amicizia tra loro. Don Puglisi fece capire ai bambini che c’era un futuro possibile che non era per forza l’odio la chiave per andare avanti. Si sarebbe potuto andare avanti con l’amore, con la fiducia verso il prossimo. A Godrano 3P insegnò alle giovanissime generazioni che si poteva perdonare».  

  • La grande intuizione di Don Puglisi fu di aver capito che l’istruzione era uno strumento potente per combattere la criminalità e l’ignoranza, ed è stato questo il motivo per il quale fu ucciso da Cosa Nostra

«Sì. A Brancaccio i ragazzini erano “cosa loro” della mafia che li “allevava” fin da piccoli. Padre Puglisi glieli toglieva dalle mani, per cui diventò pericoloso. Quando i mafiosi videro che la chiesa dove era parroco 3P e soprattutto il centro “Padre Nostro” si riempiva anche di sera di ragazzini che vedevano nel luogo un’alternativa alla povertà, i mafiosi capirono che era sorto un grande problema. Da eliminare al più presto. Essenzialmente don Puglisi, nominato il 29 settembre 1990 parroco della chiesa di San Gaetano nel quartiere periferico Brancaccio di Palermo, in cui la criminalità organizzata esercitava il proprio controllo tramite i fratelli Graviano, legati a Totò Riina e Leoluca Bagarella, lottava contro il disagio, l’emarginazione e la povertà. 3P era nato proprio a Brancaccio nel disagio e nella povertà, il padre Carmelo era un calzolaio e la madre Giuseppa Fana era una sarta. Conosceva bene gli elementi che tenevano in arretratezza il quartiere. La mafia era uno degli elementi da combattere e “uno dei problemi da affrontare”, così diceva Puglisi». 

  • La sua lotta contro la mafia era evidente anche nella sua predicazione per esempio durante le omelie. Ce ne vuole parlare? 

«La caratteristica di 3P era che parlava a loro direttamente, perché cercava un dialogo. “Venite, parliamo, possiamo dialogare, spiegatemi perché dovete essere così violenti”. Don Pino si è irritato solo quando i mafiosi minacciavano le persone vicine a lui. Allora nelle omelie diceva: “Venite a parlarmi direttamente. Lasciate stare i miei ragazzi e i miei collaboratori” ». 

  • È vero che Don Puglisi è stato la prima vittima di mafia riconosciuta come martire della Chiesa? 

«Fu un procedimento lungo e complesso. Dopo molti anni la Chiesa ha riconosciuto don Puglisi martire. Il25 maggio del 2013 la Chiesa ha beatificato don Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia, in odium fidei, il 15 settembre 1993». 

  • A distanza di trent’anni dal suo martirio, qual è l’eredità di 3P soprattutto nei confronti delle giovani generazioni? 

«L’eredità è rendersi conto che prima della mafia intesa come violenza, sangue, omicidi e stragi, c’è una cultura da combattere. Oggi un ragazzino potrebbe anche non conoscere la mafia, perché ora è silente, senza sparatorie o stragi. Semmai il ragazzo apprende la storia della mafia da film, documentari o fiction, che però raccontano sempre quel tipo di mafia, quella visibile e che fa rumore. Dobbiamo dire che la mafia militare è stata in gran parte sconfitta dallo Stato. Ora esiste tutto un altro tipo di mafia, che opera nei mercati azionari, nelle imprese, influenzando il voto elettorale e che esercita la corruzione, l’intimidazione, la minaccia. Attraverso il mio libro vorrei che passasse il messaggio, che poi era anche quello di don Pino, che anche la prevaricazione, la prepotenza, la corruzione sono atteggiamenti mafiosi. È nella prevaricazione tra ragazzi che inizia la cultura mafiosa, per cui i ragazzi non devono girarsi dall’altra parte. Devono capire  che questi atteggiamenti sono da denunciare fin da subito, perché è così che si sconfigge la cultura della prevaricazione che potrebbe diventare cultura mafiosa». 

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