“Sfida ai monoteismi”: Vito Mancuso a Molte fedi

Vito Mancuso nella chiesa di Loreto (Foto Clara Mammana)

Un gruppo di ciechi viene radunato per conoscere un elefante. Nessuno di loro ne ha mai fatto esperienza così tutti si avvicinano e ne toccano una parte diversa del corpo: chi le orecchie, chi la coda, le zanne… Così ognuno ritiene di aver conosciuto l’animale. Quando si apre il confronto, ognuno dei presenti ritiene di possedere l’unica verità sulla natura dell’animale così la discussione finisce in un insuperabile conflitto. 

Con questa immagine tratta dalla tradizione Buddhista, il filosofo e studioso delle religioni Vito Mancuso ha sintetizzato il senso dell’intervento tenuto presso la chiesa parrocchiale di Loreto, in città, giovedì 14 settembre all’interno della programmazione promossa dalle ACLI di Bergamo “Molte Fedi Sotto lo Stesso Cielo”.

Il tema scelto per l’incontro era importante ed estremamente complesso: “Fedeli a Dio e al Mondo. La sfida dei monoteismi”. Nella sua introduzione il Presidente della ACLI bergamasche, Daniele Rocchetti, ha spiegato l’importanza di indagare il rapporto tra religioni e contemporaneità. Se Karl Marx nel 1800 definiva le religioni “oppio dei popoli”, quale definizione si può dare oggi a questo fenomeno? In che modo le grandi tradizioni monoteiste si rapportano alla contemporaneità? 

Vito Mancuso, pensatore esperto delle varie tradizioni religiose e teologo indipendente, ha tentato di rispondere affermando innanzitutto l’assoluta attualità della questione spirituale. Ha affermato che “il nostro tempo ha un estremo bisogni di spiritualità” come forza capace di dare motivazione al vivere e di alimentare la speranza. Secondo lo studioso oggi c’è una diffusa sofferenza, anche nel mondo giovanile, che le religioni dovrebbero e potrebbero curare. Tuttavia, ai suoi occhi, il ruolo oggi giocato dalle grandi tradizioni monoteiste risulta del tutto inadeguato rispetto alle sfide poste dal momento storico e invoca quindi una “conversione delle religioni”. 

Mancuso provoca il pubblico chiedendo se alle persone religiose interessa più il bene particolare della propria chiesa o il bene del mondo. Ovvero se conta di più l’affermazione di una parte sulle altre o se c’è la possibilità di riconoscersi in un’etica comune per il bene di tutti. E, si chiede ancora, se le religioni sono disposte a riconoscere il primato dell’etica e della giustizia anche se questo oggi potrebbe confliggere con il libro sacro a cui si fa riferimento. Nel mirino ci sono certamente tutte le forme di aggressività ed esclusione giustificate con l’osservanza di precetti divini, alcune grandi questioni etiche e i dibattiti sulla parità dei diritti.

La posizione del teologo milanese poggia sulla convinzione che Ebraismo, Cristianesimo e Islam hanno inteso il monoteismo a partire dal concetto di sacralità ovvero come forma di separazione tra il divino e il mondo. Anche il cristianesimo che professa l’incarnazione di Dio nell’uomo Gesù avrebbe agito mettendo in opposizione tra loro spirituale e mondano. Mancuso sottolinea come l’affermazione dei monoteismi a discapito dei politeismi porti con sé la concezione della fede come sola verità possibile. Ciò a discapito di tutte le altre interpretazioni del divino, ritenute inevitabilmente false. Questo modo di concepire la religiosità, estraneo invece ai politeismi e alle culture antiche, sarebbe anche alla base delle tante forme di violenza, sopraffazione e persecuzione che hanno accompagnato la storia delle religioni e che continuano a rappresentare un problema di grande attualità.

Mancuso sostiene quindi che i monoteismi dovrebbero “convertirsi” innanzitutto accettando il primato assoluto della coscienza, anche a discapito del valore del testo sacro di riferimento. Ritiene che la vera sfida si ponga tra un monoteismo inclusivo ed uno esclusivo ovvero tra un modo di intendere l’appartenenza religiosa non in forma intollerante e dominante, accettando che la comprensione della religiosità di ogni tradizione e gruppo sia sempre parziale rispetto alla verità.

La concezione della fede che emerge dalla relazione di Mancuso è certamente figlia di una cultura che ha imparato a vivere con spirito critico anche l’approccio alle cose sacre e che afferma il primato della coscienza individuale su ogni regola, dottrina e ortodossia. 

L’accusa ai monoteismi di essere intrinsecamente generatori di conflitti, separazioni e quindi di violenza certamente nasce dalla constatazione che sia nel passato che nel presente le religioni siano state spesso fraintese come forme identitarie da contrapporre ad altre culture e strumentalizzate. 

Emerge con forza anche l’invito a dare credito alla natura spirituale dell’uomo e alla sua capacità di esprimere con molteplici linguaggi il proprio mondo interiore e la propria esperienza del divino. Le domande sollevate sono certamente di grande spessore e attualità e costringono a riaprire una riflessione su cosa sia la verità; tuttavia, appare necessario che la risposta dei cristiani ad ogni interrogativo non rincorra acriticamente la cultura dominante ma nasca da una più autentica comprensione del Vangelo ovvero da una riscoperta fedele dell’uomo Gesù, il Figlio di Dio, da una migliore comprensione delle Scritture e da una matura lettura della storia e dei “segni dei tempi”. 

Il Concilio Vaticano II già negli anni ’60 del secolo scorso si era posto i medesimi interrogativi e nei suoi documenti già esistono chiare linee di indirizzo. Soprattutto il Concilio ha suggerito una via da percorrere: ha riaffermato il principio secondo il quale Dio si rivela nella storia dell’uomo, ha dato grande rilevanza alla riscoperta delle origini e delle fonti e ribadito il metodo del dialogo. 

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