Quel filo di pace che da Sotto il Monte e Concesio arriva a Gerusalemme

Se fosse una staffetta potremmo dire che Giovanni XXIII e Paolo VI si sono passati un testimone sul quale era scritta a chiare lettere la parola “pace”. I due pontefici che hanno segnato un’epoca di grande cambiamento per la Chiesa nel secolo scorso hanno personalità e storie molto differenti, eppure ci sono punti di continuità importanti.

Proprio lo sforzo perché il mondo possa tendere alla pace è uno di questi punti di incontro che ha accomunato il Papa bergamasco e quello bresciano.

Per approfondire questo legame la Fondazione Giovanni XXIII di Bergamo e l’Istituto Paolo VI di Brescia hanno organizzato congiuntamente un convegno della durata di due giorni il 22 e 23 settembre 2023.

Se nel primo incontro, a Concesio, si è messo a fuoco il ruolo e l’eredità di Paolo VI dopo il celebre intervento all’assemblea delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965 ricordato per l’affermazione decisa: “Mai più la guerra!”, l’incontro di Bergamo, il secondo in programma, ha riflettuto su come la ricerca della pace tanto desiderata dai due pontefici transiti per Gerusalemme.

La città che la Scrittura definisce “Città della Pace”, da molto tempo è invece sinonimo di differenze e incomprensioni insanabili. A istruire la questione è stato chiamato Mons. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme e da poco creato cardinale da Papa Francesco.

Pizzaballa porta con sé una permanenza nella Città Santa di oltre trent’anni e un patrimonio di relazioni costruite nel tempo con chi abita quella terra affascinante e ricca di contraddizioni.

Nel suo intervento il prelato ha ricordato come il tema della pace è stato al centro dell’attenzione proprio nel periodo della successione tra il Pontefice bergamasco e quello bresciano: erano anni in cui la memoria degli orrori della guerra e delle dittature era ancora fresca e conviveva con la paura di una guerra nucleare; un periodo della storia nel quale istituzioni internazionali come l’ONU erano ancora giovani e sembravano poter mantenere un equilibrio tra le potenze e sostenere il progresso globale.

Era quella una stagione di grandi slanci nella quale prevaleva “il desiderio di uscire dai soliti schemi della storia per poter dire una parola positiva sul mondo e così ci si è sbilanciati su ciò che dava speranza”. Nemmeno in quel tempo si pensava che la “pace messianica” potesse realizzarsi nella storia, eppure ci si riteneva abilitati a poterla desiderare.

Forse con il trascorrere del tempo i moti e le istituzioni orientate alla ricerca di un equilibrio tra i popoli e le nazioni sono “invecchiati precocemente”, ma, suggerisce Pizzaballa, si deve “usare quel che c’è” anche se imperfetto per continuare un cammino necessario al mondo. 

La Terra Santa è un simbolo di questa faticosa e interminabile ricerca di incontro tra gli uomini: vede ancora un conflitto in corso tra due popoli che non sanno coesistere. La prima sfida da vincere è esattamente quella di accettare il diritto all’esistenza dell’altro – afferma il Patriarca.

Invece, la città sacra a tutti e tre i monoteismi è divisa da un muro fisico e psicologico e porta sulle sue spalle molti tentativi di riconciliazione spesso studiati da chi vive lontano da lì e ignora le sensibilità delle popolazioni locali, specialmente l’importanza delle tradizioni religiose in medioriente.

Il Patriarca suggerisce che la via da percorrere, impervia e quindi lenta, è quella di costruire relazioni di verità sul territorio che permettano di chiarire il significato delle parole e quindi delle rispettive attese: ad esempio, a cosa ci si riferisce quando si usa la parola “giustizia”?

“Da anni non c’è dialogo tra le parti ma si vuole superare lo stallo perché è una vita pesante per tutti. I muri esprimono paura o incapacità di dialogo. Ma non risolvono nulla… sono allungano i tempi”. 

Pizzaballa ricorda l’approccio suggerito dall’enciclica giovannea Pacem in Terris: avere una visione integrale della vita del mondo e far sì che sia orientata alla pace. Le religioni non sempre sanno mettersi a servizio della convivenza tra gli uomini perché non contemplano la possibilità del compromesso: a volte alcuni motivi di conflitto sono radicati nel credo religioso come accade in Israele quando si pensa al valore della terra da abitare.

Oggi il cammino della pace richiede – secondo Pizzaballa – il coraggio di una visione integrale e più ampia, raggiungibile solo attraverso la pratica di un “dialogo necessario e serio” che contempli la possibilità di “maturare la convinzione che si possa ridimensionare la propria visione delle cose”. Questo confronto deve accadere sul territorio, tra le persone nella loro vita ordinaria. Ma si deve replicare su grande scala includendo tutti i soggetti internazionali. 

L’atteggiamento più costruttivo per raggiungere la pace Pizzaballa lo riconosce nel modo di porsi del Papa bergamasco: “Era uno capace di essere se stesso, libero e vero. La strada per l’incontro con l’altro è ancora questa”.

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