Il potere della gratitudine. Suor Chiara: “La timida ricchezza di chi non possiede nulla”

Buongiorno suor Chiara,
Una frase del Papa nei giorni scorsi mi ha fatto riflettere. “L’ingratitudine genera violenza, mentre un semplice grazie può riportare la pace. Chiediamoci se questa piccola parola, grazie, e anche permesso e perdono, le basi della convivenza, sono presenti nella nostra vita”. Spesso mi accorgo che le persone si dimenticano di ringraziare anche nei piccoli gesti quotidiani, anche a me a volte capita di dare per scontato. Che cosa ne pensa? Esprimere gratitudine è davvero così importante?
Laura

Cara Laura, ringraziare è un atteggiamento molto semplice, ma rivelativo di un cuore che si riconosce bisognoso, non autosufficiente, incapace di bastare a sé stesso, grato per quanto riceve perché abbracciato dalla benedizione del Signore.

Siamo in un tempo nel quale tutto è dovuto: i diritti vengono prima dei doveri, tutto sembra essere scontato, appunto dovuto, o così ovvio che scivola via senza alcun segno di gratitudine; i bambini sono tanto ricolmi di doni che passano da un gioco all’altro senza gustarne la bellezza e la gioia e quasi senza sentirsi grati per il molto ricevuto.

Se tutto è scontato e dovuto, che senso ha ringraziare, non è più logico pretendere magari anche con una certa arroganza!? Nel mondo del consumo dove la regola è primeggiare, essere alla moda, possedere cose, cellulari, abiti, e forse anche persone, l’altro rischia di essere una cosa da possedere come tante altre e non può essermi negato.

Se questi possono essere alcuni presupposti, come stupirci del dilagare della violenza verbale e fisica, della non tolleranza, di quelle azioni disumane a cui anche in questi giorni stiamo assistendo nei confronti di tante sorelle e fratelli?

La gratitudine, cara Laura, è “la timida ricchezza di chi non possiede nulla” e si apre al dono della vita, degli altri, con riconoscenza e accoglienza e con un certo stupore. È l’arte umile di chi sa ricevere, atteggiamento tanto difficile da vivere per noi così impegnati a fare e a dare.

Ricevere chiede tanta fiducia e “passività” esercizio di uscita dal “proprio io protagonista” per aprirsi al tu che è l’altro, e anche Dio. Dire grazie è riconoscere che tutto è dono, è una parola gentile quasi scomparsa dal vocabolario e dalle modalità relazionali.

Basta connettersi sui social, guardare la televisione, salire sui mezzi pubblici per cogliere che non sopportiamo più nulla, che sembrano prevalere arroganza e maleducazione segno di uno stile dove l’io e ciò che si “sente” prevalgono sulla buona educazione, sul rispetto degli altri, su una convivenza più umana, vivibile.

Anche dire “permesso” è riconoscere lo spazio sacro che è l’altro, senza pretendere di comprenderlo totalmente, né di possederlo, per accostarsi a lui con un certo pudore e rispetto.

Chiedere perdono è riconoscere umilmente i nostri errori, i nostri limiti, i nostri peccati che possono ferire o umiliare, affermando il desiderio della riconciliazione e di una buona amicizia.

Sono tutti atteggiamenti un po’ “fuori moda”, ma che, se vissuti, tessono dal basso una convivenza meno conflittuale a misura di una umanità bella, che cerca sempre vie di dialogo e incontro, e non di aggressività verbale e fisica.

Si può rompere una piccola catena di violenza con un grazie, pronunciare parole che creano muri o aprono finestre, costruiscono muraglie o creano ponti: a noi scegliere di andare controcorrente.

Occorre tanta forza interiore per opporsi a una cultura violenta, ma siamo chiamati come credenti, e ancor prima come uomini e donne, a seminare il bene, a custodire la vita e la casa comune che abbiano ricevuto in dono, con gratitudine e stupore per lasciare ai nostri figli un giardino dove abitare o una terra arida da fuggire: a noi scegliere!

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