Molte fedi, a Paolo Rumiz il premio “Costruttori di ponti”: “Oggi viviamo con timore la complessità”

Paolo Rumiz usa l’immagine del confine per presentare se stesso e il suo lavoro. Lo fa citando innanzitutto le proprie origini: triestino nato nel 1947 da un padre nato in argentina da migranti italiani e con una nonna che cantava in lingua tedesca.

La sua è la città attorno alla quale si combattono le due guerre mondiali e che negli anni successivi ai conflitti ha vicende travagliate per l’eredità storica e la posizione geografica.

A differenza della generazione che l’ha preceduto, per Rumiz il confine non incute paura e non porta alla divisione. Al contrario, alimenta la curiosità, invoglia a cercare in chi sta “dall’altra parte” le somiglianze e ad apprezzare le differenze.

Le lingue apprese da piccolo, la cittadinanza in una terra contesa e vicina a culture, tradizioni e forme di potere diverse, l’indole personale inducono il giornalista a incontrare il mondo come reporter da zone di conflitto – i Balcani prima e il Medioriente poi – e a intraprendere viaggi di ogni tipo in Europa e negli altri continenti raccontando le esperienze vissute e gli incontri fatti attraverso articoli e libri. 

A questo eccezionale narratore capace di mostrare la ricchezza presente nella diversità delle vite umane è stato consegnato il premio “Costruttori di Ponti”, assegnato ogni anno a partire dal 2019 dal Comitato promotore di Molte Fedi Sotto lo Stesso Cielo a personalità che si sono distinte per la promozione del dialogo e della pace.

La motivazione che viene letta dal palco dell’aula magna dell’Università di Bergamo presso l’ex chiesa di Sant’Agostino recita: “Per la sua capacità di superare muri, creare connessioni e promuovere il dialogo in contesti complessi, sfidando divisioni geografiche e culturali. Per il suo esempio di uomo, giornalista e viaggiatore impegnato nella costruzione di un mondo più unito e pacifico”.

Il premio consiste in un contributo economico del valore di 5.000 euro che il vincitore decide di destinare ad una realtà di promozione sociale. Paolo Rumiz ha scelto la Comunità di San Martino al Campo di Trieste, fondata da don Mario Vatta negli anni ’70 per sostenere le persone più fragili e che oggi si occupa anche di accogliere i migranti che affrontano la “rotta balcanica” verso l’Europa.

Ricevendo l’onorificenza, Rumiz ha fatto notare come costruire i ponti sia un atto sacrilego e rivoluzionario. I confini invalicabili, come i grandi fiumi o i dirupi, erano gli ostacoli che separavano le terre, posti dalle divinità. Si potevano oltrepassare solo dove era consentito dalla natura come per esempio presso un guado. Iniziare a costruire i ponti ha significato osare unire ciò che la natura ha lasciato diviso. Da questo atto coraggioso e ribelle ha origine il termine “pontefice”: colui che ha il compito di unire i diversi. 

Rumiz manda un monito al pubblico che ha riempito la sala: oggi prevale una degenerazione di questo vocabolo. È decisamente più frequente trovare chi sa “pontificare” anziché essere “pontefice”. Il nostro è un tempo che vive con timore la complessità, quindi spaventato cerca di rimuoverla.

Questa operazione di semplificazione tende a omologare il pensiero, mette a tacere le sfumature e le differenze, censura chi non si allinea alla posizione dominante, predilige i monologhi al dibattito. La vera ricchezza dell’umanità nasce invece nell’accogliere la particolarità presente nell’altro e nella capacità di liberarsi dall’aggressività e dalla vergogna di fronte a chi è diverso da sé.

Rumiz cita san Benedetto che riscatta il valore del lavoro manuale, appannaggio degli schiavi e dei barbari, e lo pone al pari della preghiera; racconta l’incontro con un prete ortodosso in un’area remota della Russia vicina al Circolo Polare Artico che insegnava ai giovani di quella regione le arti marziali per incanalare l’aggressività in maniera non distruttiva; cita Francesca, la vicina di casa slava e molto anziana che non si arrende al peso degli anni e continua a godersi la vita e a lavorare con impegno il proprio terreno agricolo dall’altro del trattore. Tutte storie di costruttori di ponti.

Tra il pubblico è presente una delegazione dei giovani del Sermig di Bergamo. La loro bandiera, sintesi delle bandiere del mondo, avvolge lo scrittore al termine della serata e sembra suggerire che l’impegno a costruire ponti nel rispetto delle diversità continua.

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