L’inverno demografico e il futuro (grigio) delle pensioni

Non manca molto al momento in cui il regime contributivo sarà esteso a tutti i lavoratori

Il passaggio da quota 103 a quota 104 (63 anni d’età e 41 di contributi) segna un’inversione di tendenza molto significativa nel campo delle politiche pensionistiche. Per i partiti dell’attuale maggioranza – in particolare per la Lega – rappresenta una smentita delle promesse elettorali reiterate negli anni.

Ma molto peggio sarebbe stato se ci si fosse intestarditi nella linea seguita finora invece di prendere atto della situazione reale. Del resto è lo stesso sistema delle quote ad aver mostrato la corda, riscuotendo sempre minor interesse tra gli stessi potenziali interessati.

Il problema è che nella stretta rischiano di essere ridimensionate anche le forme previste per alcuni settori della popolazione e per alcune categorie fragili il cui pensionamento anticipato è un’opportunità doverosa in termini di equità sociale.

La dinamica della spesa previdenziale è comunque a dir poco preoccupante. Secondo la recente Nadef, la nota di aggiornamento con cui il governo individua i principali elementi macroeconomici della manovra di bilancio, quest’anno la spesa per le pensioni si attesterà sui 317 miliardi, per balzare a 340 nel 2024.

Nel tentativo di recuperare qualche margine, si sta intervenendo nuovamente sull’adeguamento dei trattamenti all’inflazione, con coefficienti che penalizzano fortemente gli assegni più elevati. Il che in teoria è sacrosanto e persino doveroso, ma nella pratica può dar luogo a ulteriori iniquità, colpendo anche livelli che certamente non corrispondono a condizioni di particolare agiatezza.

L’obiezione è che da qualche parte bisogna pur cominciare. Se si guarda un po’ più avanti della prossima legge di bilancio, gli scenari sono foschi. L’anno cerchiato in rosso è il 2030, quando si prevede che chiederanno la pensione i figli del baby boom. Ma l’andamento del rapporto tra lavoratori e pensionati è inquietante già da anni.

“Non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo con i numeri della natalità che vediamo oggi in questo Paese”, ha avuto modo di dire il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ed è veramente difficile dargli torto. Basterebbe questo aspetto a motivare una mobilitazione generale contro l’inverno demografico.

Certo, non manca molto al momento in cui il regime contributivo sarà esteso a tutti i lavoratori, visto che si sta progressivamente esaurendo la quota di coloro che si avvalgono ancora dei residui del regime retributivo. Con il contributivo, semplificando ma non troppo, ognuno riceve sulla base di quanto ha versato. In questo senso il sistema può reggere dal punto di vista finanziario.

Ma in termini sociali? Di quali pensioni stiamo parlando? Soprattutto per quanto riguarda i giovani, con gli attuali livelli salariali, le carriere discontinue, i part-time imposti, le varie forme più o meno legali di precariato o di “nero” in senso stretto, è palesemente irrealistico immaginare che vengano maturati trattamenti sufficienti a vivere in modo dignitoso. È un problema di proporzioni epocali e bisogna affrontarlo il prima possibile. Sperando che non sia già troppo tardi.

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