Celadina, Triduo dei morti come occasione per riflettere sul senso della vita e della sua fine

«Sono convinto che, nel nostro oggi, il “farsi prossimo” si esprime anche nel parlare della speranza cristiana. Per troppi, l’idea della morte viene rimossa, oppure si vagheggia sulla reincarnazione o si invoca l’eutanasia come diritto». Don Davide Galbiati è parroco della parrocchia di Celadina, posta alla periferia cittadina, che sfiora i 9.000 abitanti.

La realtà locale è lo specchio anche di altri quartieri e paesi. «Ogni anno — racconta il parroco — qui in parrocchia teniamo il Triduo dei morti. Oltre alle Messe con omelia appropriata e una di suffragio per tutti i defunti dell’anno in parrocchia, ho scelto di aggiungere, annualmente, uno o più incontri a tema diverso che toccano l’esistenza umana. Quest’anno abbiamo scelto «I giorni della fine», che sarà al centro di un incontro con una riflessione bioetica sull’eutanasia e l’accanimento terapeutico. Sarà tenuto da una persona esperta residente nel quartiere, cioè il professor Giampaolo Ghilardi, dottore di ricerca in Bioetica e docente all’Università campus biomedico di Roma. Un tema che ormai è alla ribalta anche nel parlare comune».

Il funerale religioso è ancorala una scelta maggioritaria. «Quest’anno sono stati celebrati soltanto un paio di funerali civili — prosegue don Galbiati — e la totalità chiede il funerale religioso per tradizione o per convinzione. Nelle omelie ricordo il vissuto del defunto, le sue fatiche, speranze e impegno, perché possono diventare un esempio per i presenti. Poi, riprendendo il Vangelo del giorno, parlo di Dio che ha operato anche nell’esistenza del defunto. Fondamentale è la visita alla casa del defunto per conoscere la famiglia e pregare insieme. Ed è stata un momento centrale durante gli anni del covid, quando i funerali erano vietati».

I funerali sono sempre molto partecipati, anche da chi non va mai o raramente a Messa. «Sono convinto — aggiunge il parroco di Celadina — che, grazie alla folta partecipazione di tante persone ai funerali, l’omelia ha una importanza decisiva, come fosse una catechesi. Infatti, una parola detta può arrivare al cuore dei lontani dalla Chiesa, di chi ha annacquato la fede e anche degli atei. Una parola può diventare scintilla per ravvivare la fiamma spenta o indebolita della fede personale. Anche questo è “farsi prossimo” all’uomo, per dirgli che la fede afferma che il destino della vita umana non è la tomba, ma l’abbraccio di Dio». Celadina è un quartiere abitato da diverse etnie e religioni. «Qui abitano cattolici emigrati da Cina, India, Costa d’Avorio, Ghana e Nigeria. Finora fra loro non ci sono stati defunti. Quando accadrà, dovrò conoscere le loro tradizioni riguardo alle esequie».

Oggi parlare di morte incute terrore. «La cultura contemporanea anestetizza l’idea stessa di morte, ritenuta un inciampo del cammino o una sorpresa drammatica e inaspettata — sottolinea don Galbiati —. Si pensa alla morte degli altri, si vuole dimenticare a ogni costo che l’uomo è mortale e si tengono i giovani lontani dall’idea della morte per evitare che si spaventino. Paradossalmente, però, emerge un gusto macabro a guardare immagini di morte o disgrazie in tivù». Oggi molti scelgono alternative al seppellimento dei corpi. «È sempre più scelta la cremazione, ammessa dalla Chiesa, ma deve essere vista sempre nell’ottica della speranza cristiana. Altri, pensandolo un gesto di pietà, scelgono di tenere in casa in un vaso le ceneri di defunto, che è una scelta lontana anni luce dalla nostra cultura. C’è poi chi è convinto della reincarnazione, dimenticando che, nelle culture orientali, e una maledizione e non una speranza per l’uomo».

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