Poveri, povertà e gli strumenti per contrastarla: una lotta infinita

Nella prima uscita di questa rubrica abbiamo iniziato a parlare del tema delle disuguaglianze. Per riprendere velocemente (e semplificando ai minimi termini) quello che sta succedendo a livello planetario, nazionale e anche locale potremmo dire che negli ultimi anni i ricchi diventano sempre più ricchi mentre i poveri diventano sempre più poveri.

Di poveri e di povertà si parla molto. A volte troppo e a sproposito. E se dovessimo definire in modo figurato la povertà, la potremmo definire come una catastrofe naturale, come una carestia, per cui servono delle generazioni per potersi risollevare, come soggetti e come unità sociali.

Anche per questo nel corso del tempo gli Stati hanno individuato diversi strumenti per far fronte a questo fenomeno, che è una vera piaga per le società. In Italia, quando si pensa a una misura “mainstream” che cercava di affrontare la povertà, si pensa al reddito di cittadinanza.

Credo che basti citarlo per andare a creare uno sciame di riflessioni nella testa di ciascuno e di ciascuna che sta leggendo. Partiamo però dai numeri del rapporto Caritas del 2022: “La misura di contrasto alla povertà esistente nel nostro paese, il reddito di cittadinanza, è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti, il 44 per cento”. 

Povertà assoluta e povertà relativa

Prima di iniziare una veloce e umilissima analisi della questione partirei dal riportare due definizioni che potrebbero aiutarci nella analisi: la povertà in Italia viene misurata, tra gli altri, anche dall’Istat che pone due definizioni, ossia quella di povertà assoluta e povertà relativa.

L’istituto nazionale di statistica definisce in povertà assoluta “una famiglia con una spesa per consumi inferiore o uguale al valore monetario di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale”.  

Quindi una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario. Praticamente, la soglia sotto la quale si parla di povertà assoluta, ad esempio, per una famiglia composta da due genitori tra i 30 e i 50 anni e due figli minori, che abita in un comune del nord con più di 50.000 abitanti è circa 1.600€ (se i due minori hanno tra gli 11 e i 17 anni si superano i 1700€)*.

Poi c’è la povertà relativa e in questo caso, per iniziare a definire la questione, userei Wikipedia: “La povertà relativa è un parametro statistico che esprime le difficoltà economiche nella fruizione di beni e servizi, riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. Questo livello è individuato attraverso il consumo pro-capite o il reddito medio, ovvero il valore medio del reddito per abitante, quindi, la quantità di denaro di cui ogni cittadino può disporre in media ogni anno e fa riferimento a una soglia convenzionale adottata internazionalmente che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale.”

Riprendendo come fonte l’Istat: “La soglia unica calcolata per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media per persona nel Paese […] e, nel 2021, è pari a 1.048,81 euro, valore nettamente superiore al 2020 (1.001,86 euro)”.

Reddito, povertà e narrazioni

Il reddito di cittadinanza, in questi anni, ha cercato di far galleggiare milioni di persone, ma molte non sono state nemmeno sfiorate da questa misura: stranieri; famiglie che abitano in edifici occupati; lavoratori che guadagnano poco più delle soglie previste dalla legge; anche molti di coloro che vivono in condizioni di povertà relativa, che appunto di relativo ha solo il fatto che non costringe a non avere i pasti in tavola. O che, quanto meno, non se ne portano abbastanza per poter accede agli aiuti.

Nonostante questi diversi limiti all’accesso alla misura del reddito, perché disseminano di ostacoli, i mezzi d’informazione e tante compagini politiche si sono concentrati su altro: per esempio sui cosiddetti furbetti del reddito e le loro truffe, che per la maggior parte erano presunte e solo poche vere; sulle persone (e qui l’esercizio di fantasia ha stabilito che fossero migliaia se non milioni) che il reddito avrebbe incentivato a far passare la giornata invece di andare a lavorare. 

Qui è necessario riflettere attorno a quale tipo di racconto e narrazione (o forse è meglio dire propaganda) costruiamo attorno alla povertà: per provare a tracciare i due “sguardi” opposti, provo a delineare due esempi. Il primo sarà una fotografia che credo possiamo ricordare tutte e tutti, mentre l’altro sarà la citazione di un libro, uscito nel 2022.

Primo esempio. 2018, a fine settembre, un vicepremier e ministro del lavoro del nostro paese, Luigi Di Maio, festeggiavano la legge di bilancio appena approvata, che rendeva possibile l’istituzione del reddito di cittadinanza.

Era stato un accordo non facile perché, su questo provvedimento, la compagine politica che faceva da partner al Movimento Cinque Stelle, la Lega, era rimasta molto fredda ma interessata a far proseguire quell’esperienza di governo, che aveva a capo Giuseppe Conte. In una scena (ahinoi) rimasta storica di questo paese, immortalata da tante fotografie, alla fine del Consiglio dei ministri che aveva dato il là anche al reddito di cittadinanza, Di Maio e gli altri ministri del Movimento Cinque Stelle erano sul balcone di Palazzo Chigi, con l’annuncio: “Abbiamo abolito la povertà”. Nel 2018 questo paese ha chiuso i porti alla povertà, ma la povertà è sbarcata comunque.

Secondo esempio. “Quando la povertà torna alla ribalta nella vita pubblica come un problema da risolvere emerge con particolare evidenza che i poveri sono soggetti da gestire e da governare”. È una citazione di Antonella Meo nella postfazione di “Disciplinare i poveri”.

Questa citazione esemplifica quello che nella pratica succede a chi ha ricevuto il reddito di cittadinanza in questi anni, ossia la non possibilità di scelta rispetto alle cose da comprare (considerando che il reddito aveva come strumento operativo una carta acquisti): niente assicurazioni, niente spese online, niente gratta e vinci (anche tentare la fortuna diventa un previlegio), niente gioielli (nemmeno se si tratta di regali per madri, padri o figli).

Anche i prelievi avevano un tetto: chi era da solo poteva arrivare a un massimo di cento euro al mese, in due si arrivava a duecento e così a seguire. Inoltre a fine mese i soldi che non erano stati spesi, andavano restituiti. Anche il risparmio diventa previlegio. 

Nonostante tutto questo, sempre la Meo scrive: “abbiamo assistito alla proliferazione e al prevalere di retoriche incentrate sull’immagine dei poveri ‘fannulloni’, ‘spreconi’ e ‘imbroglioni’”. Aggiungendo che la scelta e l’uso di queste parole “non presenta caratteri di novità”, bensì richiama pregiudizi e stereotipi del passato.

* C’è una pagina internet del sito dell’Istat che permette di calcolare la soglia di povertà: per consultarla clicca qui.

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