Dalla parte dei più piccoli. Una giornata di preghiera per le vittime degli abusi

Dalla parte dei più piccoli e dei più fragili: il 18 Novembre per la Chiesa italiana è la giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili.

Per il terzo anno consecutivo l’appuntamento viene celebrato in corrispondenza della Giornata europea per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale.

“È il momento – racconta don Francesco Airoldi, direttore del Servizio diocesano di Tutela dei minori – in cui l’intera comunità cristiana riunendosi in preghiera chiede il perdono per questi atti infimi e si interroga sul proprio ruolo. L’occasione, inoltre, si rivela sempre propizia affinché le luci su questo delicato tema vengano tenute accese e le persone sensibilizzate. Diventa quindi una possibilità per porsi delle domande, per curare le ferite e non provocarne di nuove”.

Qual è il punto di partenza di un’azione positiva e costruttiva di prevenzione?

“La ricchezza dell’attività pastorale svolta dalla Chiesa per i più piccoli e per le famiglie costituisce una grande risorsa ed è molto preziosa anche dal punto di vista sociale. Perché si realizzi nel modo migliore è importante che si accompagni ad una consapevole e attenta custodia dei minori. Non è un compito in più, ma una dimensione intrinseca e generale dell’attività pastorale. Alla base occorre quindi un approccio globale: la tutela dei minori è anzitutto questione di consolidamento – all’interno delle diverse realtà ecclesiali – di una fondamentale cultura per la cura e la custodia del minore. In questo senso, un’autentica tutela del minore – per essere culturale e non solo emergenziale – chiede di approdare a modalità di intervento ampie, che non siano “solo” rimedio o reazione ad un fatto puntuale di abuso ma che si trasformino in un vero e proprio stile, con un respiro più ampio e complessivo”.

Come si può raggiungere questo scopo?

“La custodia dei più piccoli può assumere una dimensione concreta ed efficace solo attraverso una consapevole attività di prevenzione a tutela dei più piccoli, nella duplice direzione della informazione e della formazione delle diverse figure degli operatori pastorali. In una dimensione ecclesiale infatti, tale approccio pro-attivo non va settorializzato neppure nei suoi destinatari. L’effettivo raggiungimento di una cultura della cura dei più piccoli richiede che destinatari della formazione siano tutti coloro che operano a contatto con minori: sacerdoti, religiosi/e, catechisti/e, educatori, animatori estivi, responsabili scout, allenatori, personale di scuole materne, volontari e/o dipendenti”.

Quali atteggiamenti sono più efficaci per allontanare il rischio di abusi?

Una prevenzione efficace parte ancora prima di interventi “reattivi” strutturati e focalizzati sul tema dell’abuso (pur necessari). Essa germoglia piuttosto da un contesto educativo – familiare, scolastico, sociale, ecclesiale (parrocchiale e oratoriano) – capace di mettersi sapientemente accanto al minore, in ascolto dei suoi bisogni e a sostegno delle sue potenzialità, nelle differenti fasi evolutive. La vera prevenzione che una sana comunità educante dovrà offrire ai più piccoli non può essere guidata da ansia e sospetto, ma si caratterizza per autorevolezza e sicurezza, è animata dal desiderio di comunicare e condividere, è guidata dalla consapevolezza della preziosità e delicatezza dell’intento educativo che accomuna i diversi ruoli. La formazione pro-attiva si delinea così come positiva e pro-positiva”.

Come rafforzare il rapporto di fiducia con le famiglie?

“L’attività di prevenzione (informazione e formazione) ha tra i suoi principali obiettivi l’attivazione e la valorizzazione della corresponsabilità e della partecipazione (in una dimensione comunitaria) e, nella ricerca di strade di miglioramento, valorizza anzitutto la positività esistente dell’azione pastorale e delle proposte delle parrocchie, facendo tesoro dell’ampia fiducia che ci viene continuamente accordata. È fondamentale, pertanto, che in parrocchia – e in ogni realtà ecclesiale che opera con e per minori e soggetti vulnerabili – ogni adulto sia consapevole del proprio valore educativo. A tal fine egli non può essere soltanto reclutato o ingaggiato, ma va anche formato. Tale attività di prevenzione e formazione – al di là di affermazioni generiche – chiede di essere concreta e operativa, con chiare indicazioni pratiche, e non soltanto programmatica”. 

Quali competenze occorrono agli educatori?

“Questo educare gli educatori va portato oltre l’ambito di competenze legate alle aree del “sapere”, per aprirsi al “saper fare” e “saper essere” figura di custodia. Appunto, dalle prassi alle best-practices, o – ancor meglio – allo stile. Non solo, quindi, dispensare regole o divieti, ma promuovere innanzitutto e trasmettere uno stile caratterizzato da uno sguardo fiducioso e promettente: è la prospettiva del Vangelo. I suggerimenti che nascono – e che come Servizio Diocesano offriamo nei momenti formativi con sacerdoti, volontari, animatori, educatori – nascono dalla concretezza del contesto pastorale e dall’esperienza maturata dal Servizio Tutela Minori della Diocesi di Bergamo. Si articolano in cinque ambiti: le persone, i luoghi, le attività, i web-media, la segreteria parrocchiale. Molti le hanno trovate utili, tanto che sono confluite in un piccolo sussidio che il Servizio Nazionale Tutela Minori  della CEI ha voluto pubblicare e mettere a disposizione di tutti. Sono suggerimenti e indicazioni, ma che nascono dalla passione pastorale e dall’esperienza; certamente vanno poi opportunamente adattate alle specifiche possibilità di ciascun contesto. In quanto suggerimenti, non potendo – né volendo – proporsi come soluzioni universalmente applicabili, intendono semplicemente suggerire un metodo: una comunità che – aiutata dai suoi preti e consacrati/e – pone attenzione e attua formazione su queste tematiche è già una comunità che genera prevenzione e custodia.

Come possono essere usate le “buone prassi” dalle comunità?

Le buone prassi non vogliono essere un prontuario, o – peggio – una risposta superficiale ad una questione importante e profonda (la custodia dei più piccoli e delle persone vulnerabili)  ma una cassetta degli attrezzi: stimoli di riflessione alla luce della pratica pastorale, riletta con la lente della tutela dei minori; raccomandazioni da non intendere in senso meramente regolamentare, ma con sguardo e approccio pastorale che fa della custodia e protezione dei più piccoli uno stile ecclesiale, condiviso e consolidato”.

Quali strutture e risorse pastorali mette a disposizione la Chiesa per la tutela dei minori?

Il cammino parrocchiale è parte integrante del cammino di tutta la Chiesa: per questo è di grande importanza far sempre riferimento alle Linee Guida e alle indicazioni date dai Vescovi e al prezioso supporto delle strutture e dei servizi che si occupano di tutela dei minori in ambito ecclesiale: il Servizio Nazionale Tutela Minori promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, il Servizio Regionale/Interdiocesano Tutela Minori e il Referente o Servizio Diocesano Tutela Minori. Da che abbiamo iniziato – un po’ precursori a Bergamo grazie all’intuizione e all’incoraggiamento del vescovo Francesco – nella Chiesa italiana sono nati numerosi contatti e condivisioni di lavoro, prassi, modalità organizzative volte alla buona custodia dei minori. Ogni diocesi ora è chiamata ad avere quantomeno un proprio referente per la tutela dei minori; non tutte hanno le risorse per costituire un vero e proprio Servizio Tutela Minori, ma in questo caso sono chiamate a costituirne di interdiocesani; Bergamo ha avuto il merito di strutturarsi e formarsi con un po’ di anticipo. Con un obiettivo, un mandato e un servizio preciso: fare formazione – tanta – affinché chiunque in ambito ecclesiale si prenda cura di minori sappia e possa farlo nel modo buono, rispettoso e corretto, trasparente e responsabile, calibrato in base all’età dei ragazzi e delle ragazze che frequentano le attività parrocchiali”.

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