Nel 2040 le coppie con figli saranno il 25,8% del totale. Nel rapporto Censis un’Italia sonnambula e bloccata dalle paure

Nel 2040 le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare il 25,8% del totale. Nel 2050 avrà 4,5 milioni di abitanti in meno rispetto a oggi.

La fotografia di sintesi dell’Italia presentata dal Censis (Centro studi investimenti sociali) contemporanea nel suo 57° Rapporto Annuale sulla situazione del Paese il 1° dicembre a Roma nella sede del Cnel da Massimiliano Valerii, Direttore Generale Censis, non è confortante. 

Anzi. La società italiana sembra affetta da un sonnambulismo diffuso, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali, di lungo periodo, dagli effetti potenzialmente funesti. 

Il motivo? Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o comunque sottovalutati, benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’ottusità di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza. Il sonnambulismo come cifra delle reazioni collettive dinanzi ai presagi non è solo attribuibile alle classi dirigenti, ma è un fenomeno diffuso nella “maggioranza silenziosa” degli italiani che sono:

Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56,0% (il 61,4% tra i giovani) è  convinto di contare poco nella società;

Feriti da un profondo senso di impotenza, se il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti, diversi, inattesi rischi;

Delusi dal ciclo storico della globalizzazione, che per il 69,3% avrebbe portato all’Italia più danni che benefici ma soprattutto

Rassegnati a un destino nazionale in ridimensionamento, se l’80,1% è  convinto che dalle passate emergenze ne è uscita una Italia in declino (e il dato sale all’84,1% tra i giovani).

Ciechi dinanzi ai presagi, ma ci pensa il 57° Rapporto Censis ad aprirci gli occhi. 

Nel 2050, fra meno di trent’anni, l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti (come se le due più grandi città italiane, Roma e Milano insieme, scomparissero). Questo dato sarà il risultato composto di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni (e -3,7 milioni con meno di 35 anni) e di un aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre (e +1,6 milioni con 85 anni e oltre). 

Attualmente le donne in età feconda (convenzionalmente, la popolazione femminile di 15-49 anni di età) sono 11,6 milioni, nel 2050 diminuiranno più di 2 milioni di unità, generando un insormontabile vincolo oggettivo per ogni tentativo di invertire nel breve termine il declino della natalità. Si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno nel 2050: una scarsità di lavoratori, che avrà inevitabili impatti sulla struttura dei costi del sistema produttivo e sulla capacità di generare valore del settore industriale e terziario. Anche la tenuta del sistema di welfare desta preoccupazioni: nel 2050 la spesa sanitaria pubblica sarebbe pari a 177 miliardi di euro, a fronte dei 131 miliardi di oggi.

Italiani sonnambuli, ma anche paurosi. L’84,0% degli italiani teme il clima impazzito, sempre più incontrollabile e ostile, causa della moltiplicazione delle catastrofi naturali, ogni anno più frequenti. Il 73,4% ha paura che i problemi strutturali irrisolti del nostro Paese provocheranno nei prossimi anni una crisi economica e sociale molto profonda. Per il 73,0% degli italiani gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi migratori sempre più intensi e non saremo in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga dalle guerre e per effetto del cambiamento climatico. Per il 70,6% i rischi ambientali, quelli demografici e quelli ora connessi alla guerra provocheranno un crollo della società, favorendo la povertà diffusa e la violenza. Il 68,2% teme che in futuro patiremo la siccità per l’esaurimento delle risorse di acqua. Il 53,1% ha paura che il colossale debito pubblico, in cammino verso la cifra record di 3.000 miliardi di euro, provocherà il collasso finanziario dello Stato italiano. Il 43,3% teme che resterà senza energia sufficiente per tutti i bisogni. Inoltre la metà degli italiani ora teme che l’Italia non sarebbe in grado di difendersi militarmente nel caso di un attacco da parte di un Paese nemico. Anche i servizi di welfare del futuro proiettano nell’immaginario collettivo preoccupazioni smisurate: il 73,8% degli italiani ha paura che non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni e il 69,2% pensa che negli anni a venire non tutti potranno essere curati, perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni in quantità adeguate. Sono scenari ipotizzati che paralizzano invece di mobilitare e generano l’inerzia dei sonnambuli dinanzi alla molteplicità delle sfide che la società contemporanea deve affrontare. Se tutto è emergenza, nulla lo è veramente.

È questo il tempo dei desideri minori: non più uno stile di vita all’insegna della corsa irrefrenabile verso maggiori consumi come sentiero prediletto per conquistarsi l’agiatezza, ma una più pacata ricerca nel quotidiano di piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere in un mondo ostile. Il consumo progressivo non è più la forza vitale che trascina gli italiani e li spinge a lavorare di più per generare più reddito da spendere. Il 74,8% dei lavoratori oggi dichiara esplicitamente di non avere voglia di lavorare di più per poter consumare di più, e non ha intenzione di farsi guidare come in passato dal consumismo. Il lavoro sembra aver perso il suo significato più profondo, come riferimento identitario, perno centrale della vita, misura del successo personale e dell’affermazione sociale, oltre che mezzo di gratificazione economica. Per l’87,3% degli occupati la scelta di fare del lavoro il centro della propria vita sarebbe un errore. Non sorprende, quindi, che il 62,1% degli italiani avverta il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi per combattere l’ansia e lo

stress, o che un plebiscitario 94,7% consideri centrale la felicità delle piccole cose di ogni giorno, come appunto il tempo libero, gli hobby, le passioni personali. Rispetto al passato, l’81,0% degli italiani dedica molta più attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni, perni del benessere psicofisico personale.

Il Rapporto fotografa anche le famiglie italiane che sono complessivamente 25,3 milioni. Quelle tradizionali, composte da una coppia, con o senza figli, sono il 52,4% del totale. Pur essendo in calo nel tempo (erano il 60,0% nel 2009), rappresentano ancora la forma principale di famiglia. Di queste, il 32,2% (8,1 milioni) è formato da una coppia con figli (nel 2009 la percentuale era del 39,0%). Nel frattempo, tutte le altre tipologie non convenzionali stanno aumentando, e non sembra essere lontano il momento in cui i nuovi format familiari supereranno quelli tradizionali:

– il 33,1% delle famiglie è composto da persone che vivono da sole, e nel 20,9% dei casi (5,3 milioni) si tratta di single, ovvero di persone sole non vedove, cioè persone che vivono da sole per scelta o comunque senza un partner.

– il 10,7% delle famiglie (2,7 milioni) è di tipo monogenitoriale, in quanto è composta da un genitore solo con figli (nel 2009 la quota era dell’8,7%). Si tratta generalmente di nuclei formati a seguito di separazioni o divorzi, e nella grande maggioranza dei casi il genitore che vive con i figli è la madre.

Il numero dei matrimoni si riduce (ne erano stati celebrati 246.613 nel 2008, solo 180.416 nel 2021) e oggi esistono 1,6 milioni di famiglie (l’11,4% del totale) costituite da coppie non coniugate. Dal 2018 al 2021 state celebrate 8.792 unioni civili (all’inizio del 2022 in Italia risultavano 17.453 cittadini residenti uniti civilmente). I cittadini stranieri oggi sono presenti in 2,6 milioni di nuclei familiari (il 9,8% del totale), e 1,8 milioni di famiglie (il 7,0% del totale) sono composte esclusivamente da cittadini stranieri. 

In Italia vi è anche una grande incomunicabilità generazionale. La distanza esistenziale dei giovani di oggi dalle generazioni che li hanno preceduti sembra abissale. Si è bloccato l’ascensore sociale, che da sempre garantiva un maggiore benessere nel passaggio da una generazione all’altra, hanno visto infrangersi il mito del progresso inteso come crescita inarrestabile dell’economia e dei consumi, convinzione sostituita adesso dalla consapevolezza che occorre adottare stili di vita più rispettosi dell’ambiente e il loro posizionamento sociale sembra piuttosto dettato dal rapporto, più o meno stretto e funzionale, con i dispositivi e le piattaforme digitali.

Oggi i 18-34enni sono poco più di 10 milioni, pari al 17,5% della popolazione; nel 2003 superavano i 13 milioni, pari al 23,0% del totale: in vent’anni abbiamo perso quasi 3 milioni di giovani. E le previsioni per il futuro sono fortemente negative: nel 2050 i 18-34enni saranno solo poco più di 8 milioni, appena il 15,2% della popolazione totale.

Triste ma vero: I giovani sono pochi, esprimono un leggero peso demografico, quindi inesorabilmente contano poco. 

Il nostro Paese continua a essere un Paese di emigrazione (sono più di 5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero) più che di immigrazione (sono 5 milioni gli stranieri residenti nel nostro Paese). I 5.933.418 italiani residenti all’estero (pari al 10,1% dei residenti in Italia) hanno registrato un incremento del 36,7% negli ultimi dieci anni (ovvero quasi 1,6 milioni in più). A caratterizzare i flussi centrifughi più recenti è l’aumento significativo della componente giovanile. Nell’ultimo anno le iscrizioni all’Aire per espatrio sono state 82.014, di cui il 44,0% (la quota più elevata tra le classi di età considerate) da parte di italiani di 18-34 anni, per un totale di 36.125 giovani che hanno scelto di cercare altrove la propria strada, definitivamente o per un periodo transitorio. Se si aggiungono anche i minori al seguito delle loro famiglie (13.447), l’espatrio delle nuove generazioni di italiani ha sfiorato nell’ultimo anno le 50.000 unità, il 60,4% di tutti gli iscritti per espatrio. Le mete predilette rimangono il Regno Unito (il 16,4% delle partenze dell’ultimo anno), poi Germania (13,8%), Francia (10,4%) e Svizzera (9,1%).

Gli anziani rappresentano una quota sempre più rilevante della popolazione italiana, in ragione dell’aumento dell’aspettativa di vita che caratterizza il Paese ormai da anni – arrivata nel 2022, dopo la momentanea battuta d’arresto legata alla pandemia, a 84,8 anni per le donne e a 80,5 anni per gli uomini – e a causa della bassa natalità. Le persone con 65 anni e oltre (più di 14 milioni) rappresentano oggi il 24,1% della popolazione complessiva e sono in costante aumento: secondo lo scenario mediano delle proiezioni demografiche, nel 2050 saranno 4,6 milioni in più rispetto a oggi e peseranno per il 34,5% della popolazione totale. Mentre solo un terzo degli anziani di oggi pensa che sul piano economico stia vivendo una condizione peggiore di quella dei propri genitori, la consapevolezza di una vecchiaia più problematica viene richiamata dal 75,4% dei rispondenti più giovani (dai 18 ai 34 anni). 

In conclusione, ha auspicato Valerii, l’Italia ha bisogno di “ritrovare forza propulsiva”. Basta sonnambulismo.