Disuguaglianze: come mai si parla sempre dei poveri e poco dei ricchi? La questione della pressione fiscale e dei servizi

Per la nuova uscita di questa rubrica che prova a trattare alcuni temi legati alle disuguaglianze vorrei parlare di una questione poco esplorata in Italia e anche nella nostra città. 
Anche in questo “spazio”, parlando di disuguaglianze, il punto di partenza è stato quello della povertà; ma ogni disuguaglianza ha due estremi e per quanto riguarda quella economica e sociale non si può ignorare che, in questo Paese, c’è una questione legata alla ricchezza.

Della povertà sappiamo quasi tutto perché sono stati realizzati tanti studi, libri, rapporti che sono aggiornati con dati e numeri annualmente.

Della ricchezza e dei ricchi, invece, si sa pochissimo a meno che non emerga qualche inchiesta internazionale (per esempio i Panama Papers) dove vengono scoperchiati giri finanziari illegali di dimensioni importanti, le società collocate nei paradisi fiscali per evadere le tasse, liste di evasori fiscali.

Anche in questi casi, comunque, l’attenzione dei media italiani non resta focalizzata a lungo, anche se la questione non è da poco, basti pensare, per esempio, che l’8% del patrimonio finanziario globale è, appunto, nei paradisi fiscali.

Chi sono i ricchi?

Secondo il Forum Disuguaglianze e Diversità i ricchi di questo paese sono il 6% e detengono il 45% della ricchezza, per un patrimonio di valore (individuale) di almeno 1 milione e 200 mila euro. Per scendere più nel dettaglio, Salvatore Morelli, economista e ricercato in Scienze della Finanze all’Università di Roma3 (membro del coordinamento del Forum) dichiarava qualche tempo fa a Radio Popolare: “È un gruppo di persone che detiene circa il 45% di tutta la ricchezza familiare del nostro Paese.

Possiamo anche avere informazioni sulla composizione di questi patrimoni e sapere, per esempio, che circa il 60% dei patrimoni del 6% più ricco della popolazione è composto da immobili, il 30% da investimenti finanziari e il resto in depositi e altri oggetti di valore. È anche un gruppo che ha pochissimi debiti”.

Continuava poi nella sua analisi: “Prendiamo in considerazione il gruppo dei super ricchi. Lì si fanno predominanti i patrimoni finanziari e ovviamente cresce anche il patrimonio medio di queste persone. Meno case e più finanza. Per entrare in questo gruppo ci vogliono almeno 20 milioni di euro di patrimoni e in media si possiedono circa 80 milioni di euro, detenuti per circa l’80% in investimenti finanziari e imprenditoriali.”

Sempre Morelli proseguiva:  “Per dare un’idea dell’ordine di grandezza, considerate che oggi nel nostro Paese almeno 10 milioni di adulti hanno risparmi liquidi inferiori ai 2mila euro, che sono decisamente insufficienti per far fronte ad uno shock di reddito come quello inflitto dalla pandemia. Oppure considerate che il 50% della popolazione più povera di patrimonio, circa 25 milioni di adulti, detiene oggi solo 7mila euro di patrimoni e risparmi. Si tratta dunque di 11mila volte in meno rispetto ai 5mila individui più ricchi del Paese”.

Un libro per orientarsi

Scrivevo in apertura che nella nostra penisola poco è stato detto e scritto rispetto ai ricchi e alla ricchezza; pochi sono gli studi che raccontano chi sono i ricchi, cosa pensano, cosa leggono e cosa vivono. Giulio Marcon ha scritto un libro, edito da People, “Se la classe inferiore sapesse”, con una prefazione di Goffredo Fofi, molto interessante a riguardo, che prova a rispondere a tutto questo disinteresse.

L’autore ipotizza che in parte questo strano fenomeno italiano di pudore di parlare di denaro e di dichiarare in pubblico le proprie ricchezze e i propri privilegi, sia dato da un particolare aspetto sociale e culturale e da un retaggio cattolico.

Il volume prova a trovare la risposta anche a un’altra questione legata all’ammirazione dei ricchi per i consumi e lo stile di vita, nonostante il nostro sia stato un popolo che ha costruito il benessere attraverso il lavoro, conoscendo anche la fame, l’emigrazione e la povertà più profonda.

Gli italiani sono anche un popolo che si connota come composto da grandi risparmiatori ed è quindi difficile capire come possa ammirare coloro che hanno ereditato la loro fortuna e godono di rendita.

A questa ultima questione l’autore trova una risposta parziale attraverso quei passaggi storici e politici che hanno resto così attuali quelle affermazioni come “non esiste più la società ma gli individui” e che quindi i ricchi sono diventati, in un contesto sociale estremamente frammentato, dei modelli insuperabili.

“Se la classe inferiore sapesse” ci racconta che ci sono dei super ricchi (con un patrimonio singolo oltre i 100 milioni) e che nel mondo questi super ricchi sono 84.000. I milionari nel mondo sono 62 milioni nel mondo e sono andati a crescere negli anni del Covid-19 (negli anni della pandemia si è passati da 57 a 62 milioni).

Sempre nel libro si legge che in Italia i super ricchi sono 4000 e nei due anni della pandemia la ricchezza mondiale è cresciuta del 9% ma solo per l’1% della popolazione. Una espansione della ricchezza che non è fatta di redditi, ma di patrimoni; una crescita prodotto dell’espansione dei mercati finanziari, non tassati o tassati comunque troppo poco. 

Giulio Marcon prosegue nel suo libro analizzando come i più ricchi del mondo, le élite, hanno rinunciato al ruolo di classe dirigente, ricoprendo il ruolo di gruppo d’interesse e di potere che arriva a sottomettere la politica arrivando a definire questi superricchi come apolidi. Il libro non è stato scritto come un grande trattato sull’invidia, ma su come agire delle politiche ridistributive, necessarie per poter “rimescolare” le ricchezze, nel mondo e in Italia.

Cosa si può fare?

E come tutta questa analisi ha a che fare con le disuguaglianze? Per rispondere a questo quesito, mi affido alle voci di uno dei massimi esperiti di politiche fiscali in Italia, Roberto Artoni. In una intervista di qualche mese fa a Paolo Andruccioli, Artoni rispetto a come agire per redistribuire le ricchezze diceva che “il problema è che la ricchezza e i ricchi non sono statici. […] Se si tenta di colpire i ricchi, loro si muovono e inventano dei meccanismi di elusione che sono favoriti dagli assetti odierni relativi ai movimenti di capitali e ai paradisi fiscali”.

Una risposta che apriva uno dei temi che spesso vengono associati (più o meno erroneamente) al concetto di ricchezza, quello dell’evasione fiscale e infatti proseguiva: “c’è da specificare che in Italia l’evasione fiscale è favorita dalla frammentazione del sistema produttivo. Ma accanto all’evasione fiscale che è sicuramente un fenomeno da combattere, noi abbiamo anche un fenomeno di elusione molto grosso: paradisi fiscali, trasferimenti di residenza delle imprese. Fa indignare l’evasione fiscale, ma disturba anche moltissimo questa elusione. Possiamo dire che questa è l’evasione dei ricchi. […] 

Perché con le leve fiscali si può fare qualcosa, ma la vera questione rimane l’accesso ai servizi. Intere fasce di popolazione hanno difficoltà di accesso alle cure sanitarie. Ed è lì che scatta l’aspetto redistributivo in modo molto forte. Per questo, per combattere davvero le diseguaglianze, è necessario intervenire su più piani, quello fiscale, ma anche quello dell’accesso ai servizi che garantiscono l’effettiva applicazione dei diritti, come il diritto alla sanità.”
Un concetto che spesso si dimentica, ma la ricchezza concentrata in poche mani (che sempre più, con l’aumento delle disuguaglianze diventano pochissime) non aiuta la maggior parte della popolazione ad accedere ai servizi minimi.

Sono tanti e tante che nella classe politica di questo paese hanno portato come tesi di fondo che andava “combattuto” il sistema fiscale, che era una sorta di rapina alle piccole e grandi fortune degli italiani, ma sempre Artoni prosegue: “Ne consegue che combattere la pressione fiscale vuole dire combattere i servizi, ovvero combattere contro una formula molto efficace di redistribuzione del reddito. Ma oggi sembra si vada in una direzione opposta e non solo in Italia. Basta vedere quello che succede negli Stati Uniti. In un Paese in cui i servizi sono difficilmente accessibili a buona parte della popolazione, tutta la battaglia politica dei repubblicani è invece basata sulla riduzione delle imposte”.

Chiudo l’articolo con la risposta che Roberto Artoni diede per definire le disuguaglianze, perché da quel concetto siamo partiti e qui terminiamo, cercando nuove risposte e argomenti per poter proseguire a parlare di questa piaga tremenda del nostro Paese: “Le diseguaglianze sono il frutto di varie cose, sono multidimensionali. Le diseguaglianze si manifestano per territorio, tra i sessi, per età. Oggi la diseguaglianza più pesante colpisce le fasce più giovane della popolazione con i suoi effetti comportamentali. Si tratta della fascia più esposta a causa dei bassi salari e della difficoltà di accesso a diversi servizi.”

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