Papa Francesco: “Le persone prima delle cose. C’è il rischio di smarrire ciò che conta”

“Saluto il gruppo Mediterranea Saving Humans che è qui presente e che va in mare a salvare i poveretti che fuggono dalla schiavitù dell’Africa”. Lo ha detto il Papa, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana che come di consueto concludono l’udienza del mercoledì, svoltasi in Aula Paolo VI.

“Fanno un bel lavoro questi, salvano tanta gente!”, l’omaggio di Francesco: “E non dimentichiamo la gente, i popoli che soffrono in mare e per la guerra. La guerra è sempre e solo una sconfitta, non dimentichiamo questo, soltanto arricchisce quelli che fabbricano le armi. Pensiamo alla Palestina, a Israele, pensiamo all’Ucraina. C’è presente il signor ambasciatore. L’Ucraina martoriata, che soffre tanto. E pensiamo ai bambini in guerra, alle cose che si vedono”. “Andiamo al presepe e chiediamo a Gesù la pace”, l’invito finale: “Lui è il principe della pace”.

“Il presepe nasce come scuola di sobrietà. E questo ha molto da dire anche a noi”. Ne è convinto il Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI e dedicata agli 800 anni del presepe allestito da Sa Francesco a Greggio, ha fatto notare che “oggi il rischio di smarrire ciò che conta nella vita è grande e paradossalmente aumenta proprio sotto Natale, immersi in un consumismo che ne corrode il significato”.

“Io voglio fare dei regali”, ha proseguito Francesco a braccio: “È bene, ma quella frenesia di andare a fare le spese, questo attira l’attenzione da un’altra parte e non c’è spazio per quella sobrietà del Natale: non c’è spazio interiore per lo stupore, soltanto per organizzare le feste”. Il presepe, invece, “nasce per riportarci a ciò che conta: a Dio che viene ad abitare in mezzo a noi, ma anche alle altre relazioni essenziali, come la famiglia, presente in Gesù, Giuseppe e Maria, e le persone care, i pastori”. “Le persone prima delle cose”, il monito del Papa: “Tante volte noi mettiamo le cose prima delle persone, e questo non funziona”.

“Se noi cristiani guardiamo il presepe come una cosa bella, storica, anche religiosa e preghiamo, non è sufficiente: davanti al mistero dell’incarnazione del Verbo, alla nascita di Gesù, ci vuole questo atteggiamento religioso dello stupore: se io davanti ai misteri non arrivo a questo stupore, la mia fede è semplicemente superficiale, una fede da informatica”. È il monito, a braccio, del Papa, che ha dedicato la catechesi dell’udienza generale di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI, agli ottocento anni del presepe realizzato a Greccio da San Francesco, nel Natale 1223. “Come è nato il presepe?  Qual è stata l’intenzione di San Francesco?”, si è chiesto il Santo Padre, citando le parole del santo di Assisi: “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. “Francesco non vuole realizzare una bella opera d’arte, ma suscitare, attraverso il presepe, lo stupore per l’estrema umiltà del Signore, per i disagi che ha patito, per amore nostro, nella povera grotta di Betlemme”, ha commentato il Papa: “Io ho sottolineato una parola: lo stupore. Questo è importante”, ha aggiunto a braccio.

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