E se Gesù fosse nato in cella? Il vescovo porta la speranza del Natale in carcere

“Gesù è nato in una mangiatoia, pensate non possa nascere in una cella?” È mercoledì 20 dicembre 2023. Sono da poco passate le 15. Dopo aver salutato le educatrici e le guardie carcerarie il vescovo Francesco Beschi viene accolto da un applauso cordiale dalle donne detenute nella sezione femminile del carcere di Bergamo.

Il sole tiepido filtra dalla finestra rigata dalle sbarre e addobbata con un grande fiocco di neve argentato. “Accogliamo con gioia la sua visita e ci sentiamo privilegiate ad averlo qui con noi.”

Dopo il canto di benvenuto accompagnato dalla chitarra, una donna con i capelli grigi sfumati di biondo e d’azzurro legge il saluto al prelato: “Aspettiamo da anni una riforma della giustizia, ma non arriva.”

Prosegue la detenuta con la camicia a quadretti e la roca per il tabacco: “Ciò non ci aiuta a guardare al futuro con speranza, ma continuiamo a pregare.”

Sullo spioncino della cella numero 8 è appesa una pallina natalizia con i brillantini dorati. Monsignor Beschi è attento e seduto. Quando si alza per rispondere gli viene donato un piccolo angelo.

“Lo metterò sull’altare” ringrazia sorridendo tra gli applausi della stanza quadrata. Con un tono sereno il vescovo bergamasco consegna alle detenute parole di conforto: “Gesù viene e apre le porte” e d’affetto: “Dove c’è anche solo un piccolo gesto d’amore una persona si sente sollevata.”

“Per tutto questo il Natale è sorgente di speranza” conclude il prelato che poi consegna un dono ad ogni detenuta. Tra abbracci, strette di mano e baci all’anello le donne ringraziano e aprono il presente. “Bello, veramente bello. Anche se speravo ci fossero le sigarette” commenta una donna bionda con un leggero accento da est Europa. 

Il pomeriggio di monsignor Beschi nel carcere di via Gleno è ancora lungo e ricco di incontri. Il vescovo di Bergamo scende le scale, attraversa le varie porte blindate che si chiudono alle sue spalle e percorre il lungo e ampio corridoio, fino a giungere alla cappella della sezione penale.

Dopo il robusto applauso di benvenuto è Giuseppe a prendere la parola: “Sarebbe anormale se dicessimo che per noi è un momento ricolmo di gioia e felicità. Sarebbe anormale se dicessimo che per noi è un Natale normale.” 

Felpa blu, occhiali tondi e tono deciso. Giuseppe aggiunge: “Il carcere è un luogo di restrizione, ma ognuno di noi tenta di vedere oltre le sbarre. Qui ci sono persone che hanno la forza di piangere, sorridere ed emozionarsi.” Perciò l’uomo con la cadenza meridionale e la testa calva conclude: “Il nostro è un augurio normale per un Natale normale.”

Francesco Beschi ringrazia e riconosce che le parole di Giuseppe sono molto vere “perché rappresentano la vostra vita e i vostri sentimenti.” Continua il vescovo: “Per me questo non è un mondo a parte. È un mondo dove c’è tutta la vita.” Proprio per questo Beschi spera che la sua visita in via Gleno possa riportare l’attenzione della città e di tutta la comunità bergamasca su questo luogo denso di umanità.

Così il prelato prima di salutare i detenuti promette che “questa è stata la mia prima volta qui al penale, ma non sarà l’ultima.”

Mentre il vescovo Francesco Beschi stringe le mani a tutti i presenti, un uomo alto con la felpa grigia, la voce profonda, i capelli radi e ormai bianchi gli chiede: “Stasera può dire una preghiera per noi?” Lui sorride e risponde affermativamente.

Il sole sta ormai per tramontare. La cappella della sezione circondariale è gremita di detenuti. Qui è in programma la messa natalizia del vescovo. “Vogliamo ricordare don Fausto Resmini. Sono quasi quattro anni che manca ma è sempre nei nostri cuori.” Inizia così il saluto letto da un detenuto massiccio con la voce ferma. Un velo di commozione lo accarezza ripensando all’ex cappellano a cui è dedicata la casa circondariale di via Gleno. Dopo il ringraziamento al vescovo “che ci aiuta e ci guida” l’uomo continua pregando per le guerre che affliggono il mondo e “per l’oscenità dei femminicidi, sempre più frequenti.” 

Dopo quest’analisi lucida e precisa dell’attualità, il detenuto non risparmia critiche a chi governa, mettendo in luce i problemi che gravano sulle loro vite e su tutto il sistema carcerario italiano. In particolare le rimostranze sono legate alla circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria datata 20 novembre 2023. Con questo documento il Dap ha imposto la chiusura delle celle per 20 ore al giorno. “In queste nuove condizioni non possiamo più camminare o passeggiare” lamenta il detenuto, che però aggiunge: “Ringraziamo la casa circondariale di Bergamo che si impegna per farci proseguire le attività trattamentali, laboratori e scuola.” 

La situazione è sempre più difficile per la comunità carceraria anche a causa dal sovraffollamento. In via Gleno ci sono 556 detenuti nonostante la capienza massima dovrebbe essere di 319. Per tutto questo il detenuto conclude con un appello alle autorità: “Vi invitiamo a riflettere su misure alternative della pena, pensando al sovraffollamento e allo spazio vitale all’interno delle celle.”

Monsignor Beschi nell’omelia parla a braccio. È in piedi davanti all’altare, con il microfono saldo nella mano destra e cita Nanni Moretti: “le parole sono importanti”, ma aggiunge “devono corrispondere ai fatti. È questo che noi celebriamo. Gesù non è l’ologramma di Dio. Si è fatto uomo per noi.”

Dalle finestre strette e lunghe si scorge l’alone del tramonto punteggiato dalle luci artificiali dei lampioni. I cortili interni del carcere sono deserti e freddi. L’orto schiacciato tra le sbarre è ordinato e ben tenuto. La gente fuori corre alla ricerca degli ultimi regali natalizi. Prima di riattraversare la serie di varchi chiusi a chiave il vescovo dona ai detenuti un messaggio di vicinanza: “Anche Gesù è nato in miseria ed è morto condannato. Ha attraversato tutta la nostra umanità” e di fiducia: “Gesù viene e apre le porte. Nessuno può disperare in Dio.”

Luca Mariani

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