Il presepe, rappresentazione antica e sempre attuale: “Un segno anche per l’uomo di oggi”

“Non è importante come si allestisce il presepe, ciò che conta è che esso parli alla nostra vita”,  ha dichiarato nel dicembre 2019 Papa Francesco durante la sua visita presso il Santuario del Presepe di Greccio. 

Ogni anno sono moltissime le famiglie italiane che allestiscono il presepe e addobbano l’albero di Natale, tradizioni che si tramandano da generazioni, e quest’anno acquistano una valenza particolare. 

Ricorre infatti l’ottavo centenario della Prima Rappresentazione del Presepe: correva l’anno 1223 quando San Francesco d’Assisi scelse l’umile paese montano di Greccio, affacciato sulla vasta conca reatina, per rievocare la nascita del Salvatore. Per questa occasione Frate Orazio Renzetti scrive “Il presepe di Greccio. Per una lettura biblica, spirituale e pastorale”(Edizioni Cappuccine 2023, pp. 72, 8,00 euro), in cui ripercorre la notissima vicenda del Poverello a Greccio, che Giotto rievocò nella tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica superiore di  Assisi (1295 – 1299).

“Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.

Abbiamo intervistato Frate Orazio Renzetti, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. 

A quale punto della sua vita era Francesco quando durante la notte di Natale del 1223 a Greccio, rievocò la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell’evento?

«Francesco era appena tornato da Roma, dove aveva ricevuto il 29 novembre da Papa Onorio III l’approvazione della Regola ed era molto contento di ciò. Francesco si recò in un luogo a lui caro, a Santa Maria Maggiore, per pregare la Madonna che per lui era sempre stata un punto di riferimento. Francesco scoprì che in quella chiesa era custodita un’immagine della Natività di Betlemme. Papa Francesco racconta nell’“Admirabile signum”, Lettera Apostolica di Bergoglio sul significato e il valore del presepe, consegnata dal pontefice il 1º dicembre 2019 presso il santuario di Greccio, che c’erano anche dei frammenti della mangiatoia di Betlemme, che in latino si chiamano “praesepium”. Presumibilmente Francesco di fronte al mistero di questa reliquia del Bambino, sentì nel cuore il desiderio di esprimere visibilmente quella cosa che ancora rimaneva per lui sia nel Vangelo sia nella Storia. Dopo qualche giorno, Francesco, già nella valle reatina, parlò del suo desiderio di realizzare un presepe vivente con il suo amico Giovanni Velita».

È vero che Francesco scelse Greccio perché il panorama della valle reatina gli ricordavano quei luoghi che aveva visto in Palestina? 

«Probabilmente sì. Importante è sottolineare questo: Francesco aveva un grande desiderio nel cuore, toccare con mano ciò che la Bibbia annunciava attraverso il Vangelo, cioè il Poverello voleva vedere con gli occhi del cuore qualcosa del Signore e ogni volta lo faceva o scrivendo versetti della Bibbia, soprattutto del Vangelo, o volendo toccare con mano il mistero della Natività del Signore. Parola ed eucaristia sono sempre stati i due ambiti verso cui questo fratello ha toccato con mano la presenza di Dio».

L’intento del Santo poverello era di far capire a un popolo lontano dagli insegnamenti cristiani, l’evento misterioso della nascita di Gesù? 

«L’intento di Francesco era quello di riscoprire l’importanza dell’eucaristia. Per questo chiese che fosse preparato la notte di Natale questo luogo per celebrare la Santa Eucaristia. Francesco era diacono. Dice un brano delle Fonti, soprattutto Tommaso da Celano che il Poverello indossò i paramenti sacri della diaconia, annunciando e cantando il Vangelo. Per lui era importante rivivere in simbiosi con la Santa Messa la notte di Natale. L’intento di Francesco era quello di coinvolgere gli abitanti di Greccio e molti frati. Ecco perché questo momento spirituale è importante, sia perché Francesco vive l’eucaristia con una forte intensità, sia perché vuole che la presenza di Cristo entri nei cuori degli abitanti di Greccio e dei suoi frati. Come vuole che anche la Natura partecipi a questo evento meraviglioso che è la nascita di Cristo». 

L’episodio dal quale ebbe origine la tradizione del presepe può essere ispiratore per una maggiore attenzione al mistero dell’incarnazione e della redenzione? 

«Sì. A quel tempo l’eucaristia non era accessibile tutti i giorni. San Bonaventura racconta che Giovanni Velita vide tra le braccia di Francesco questo bambino, che era stato depositato sulla mangiatoia, prendere vita, prendere corpo. Francesco si immerge in un’estasi nell’incontro con l’eucaristia per farci comprendere la bellezza di questo momento. Al giorno d’oggi si è perso il vero significato del Natale, ma anche ottocento anni dopo il Poverello d’Assisi ci fa capire che il centro di tutto non è altro che Lui, nato in una povera mangiatoia, dove non c’era nemmeno accoglienza in una casa». 

Se a Betlemme si operò il mistero dell’incarnazione di Gesù, a Greccio, per la pietà di San Francesco di Assisi, ebbe inizio, in forma del tutto nuova, la sua mistica rievocazione? 

«Francesco non poteva certo immaginare che il suo gesto si sarebbe tramandato nei secoli successivi. I biografi raccontano questa sua esperienza mistica, Francesco si è messo nei panni dell’uomo che vuole scoprire Dio nella sua vita. Questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento quando ci apprestiamo a vivere il Natale e a ogni eucaristia. Questo mistero di Dio fatto Bambino, nato e cresciuto povero e più tardi crocifisso. Lo scopo di Francesco era quello di aiutarci a ricostruire questa bellissima immagine del Dio povero. Questo ottocentesimo anniversario rappresenta una grazia infinita da non perdere». 

Il 1° dicembre del 2019 Papa Francesco si recò in visita nel Santuario del Presepe di Greccio. Ricorda quello storico giorno? 

«Ero presente insieme a una piccola rappresentanza di ammalati dell’UNITALSI, che era stata invitata. Eravamo in diciotto. Ricordo la gioia del Santo Padre nell’abbracciare con lo sguardo gli ammalati pieni di stupore e felicità, perché si trovavano lì. Per sintetizzare questa esperienza mi vengono in mente le parole di Tommaso da Celano che spero possano essere di aiuto per me e per tutte le persone che festeggiano il Natale con al centro il Signore, più che i regali: “E venne il giorno della letizia e il tempo dell’esultanza”. La notte di Natale è la notte della letizia e il Bambino che viene dal cielo e che nasce nel nostro cuore non può vederci tristi. Il tempo dell’esultanza rimane quando noi Lo seguiamo anche nella crocifissione e nella resurrezione». 

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