Il coraggio di essere cristiani, in Terra Santa e qui. Suor Chiara: non accontentiamoci di una fede “da salotto” che non incide sulla vita

Buongiorno suor Chiara

Ho ascoltato la testimonianza di un frate francescano che vive in Terra Santa. Sono rimasta colpita dal coraggio dei pochi cristiani che restano lì. Mi sono chiesta cosa significa essere una minoranza così esigua in una società, forse in qualche modo è una condizione che incominciamo a sperimentare anche nella “vecchia” Europa. Di sicuro occorre una buona dose di coraggio. Che ne pensa?

Mariella

I nostri fratelli e sorelle nella fede che vivono in Terra Santa sono veramente coraggiosi, cara Mariella, così come quelli di altri Paesi sconvolti da guerre e persecuzioni: nonostante tutto e tutti sanno rimanere fedeli alla loro fede e questo è una grande testimonianza. Il coraggio che dimostrano non è capacità umana, ma un dono dello Spirito santo, frutto di una fede forte, radicata veramente nel Signore. È la fede in Lui, morto e risorto, che spinge a tanto! 

Per tutti noi, cristiani d’occidente, le loro esistenze così sofferte e provate costituiscono un’esortazione che ci dovrebbe inquietare: noi ne saremmo capaci? La nostra fede sarebbe in grado di sostenere così grandi prove? 

Numericamente parlando, nel nostro vecchio continente non siamo ancora giunti ad essere così pochi; la nostra fede, però, è, nella maggior parte dei casi, incapace di incidere nelle situazioni concrete, difficili, complesse e confuse della vita; probabilmente siamo un poco “spenti”, forse un po’ mediocri e poco disponibili a compiere scelte controcorrente, magari rischiose. Mi pare che, in alcuni casi siamo cristiani “da salotto”, come diceva papa Francesco e che le nostre pratiche religiose non danno una forma evangelica alla nostra vita. Di fatto è come se fossimo, di fatto, una esigua minoranza.

Eppure in Terra Santa, e in altri paesi dove i cristiani sono tali, non è così! La loro forza d’animo e il loro coraggio sono segno di una grande vigoria interiore, forse invidiabile! 

Non intendo tessere le lodi al concetto di “minoranza”, (non dimentichiamo che il Signore risorto ha inviato i suoi ad annunciare il vangelo sino ai confini), né invocare la desertificazione della nostra fede come momento di crescita, ma ricordare che, di tanto in tanto, saperci un “piccolo resto” potrebbe essere una “grazia” capace di irrobustire la nostra fede.

Non si può vivere né di rendita, né di tradizioni familiari o sociali! Al contrario è necessario giungere a una scelta responsabile e motivata, anche a costo di andare contro corrente!

La fede non può essere di “massa”!

La Sacra Scrittura parla di un “piccolo resto” fedele a Yahvè: “In quel giorno il resto di Israele e i superstiti della casa di Giacobbe non si appoggeranno più su chi li ha percossi, ma si appoggeranno sul Signore, sul Santo di Israele, con lealtà.Tornerà il resto, il resto di Giacobbe, al Dio forte. Poiché anche se il tuo popolo, o Israele, fosse come la sabbia del mare, solo un suo resto ritornerà” (Is.10,20-22).

Anche Gesù paragona la sua Chiesa a un pugno di lievito, a un pizzico di sale, a un granellino di senape, la cui fecondità è cento volte tanto: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata” (Mt.13,31-33).

Questa è la vocazione della Chiesa! Questa è la carta di identità del popolo di Dio, questa è la garanzia di fecondità. 

Allora preghiamo perché non ci capiti di divenire sale scipito, lievito scaduto o seme infecondo!

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