La storia della chiesa di Chora, tesoro di Bisanzio, e l’importanza di custodire le radici cristiane dell’Europa

Le antiche chiese orientali contengono spesso la testimonianza di una storia ricchissima, del dialogo tra culture e tradizioni diverse, di modi diversi per vivere la fede. Fra esse anche quella di Chora, di cui si dà testimonianza nel volume di Emanuela Fogliadini da cui parte questa intervista. Sono luoghi sacri che nel tempo cambiano destinazione: in questo caso per esempio per riaprire al culto islamico. Una vicenda che spinge a riflettere sull’importanza del dialogo interreligioso e sulle differenze che è importante custodire, perché arricchiscono tutte le parti coinvolte.

Una monografia unica per completezza su un capolavoro dell’arte mondiale, che rischia di non essere più visibile al mondo intero a causa di un decreto del presidente turco Erdogan che l’ha chiusa, con l’intenzione di riaprirla al culto islamico, con conseguente copertura dei mosaici cristiani è “La chiesa di Chora. L’ultimo tesoro di Bisanzio” (Àncora Editrice 2023, Collana “Tra Arte e Teologia”, pp. 320, 69,00 euro) di Emanuela Fogliadini. 

Il testo contiene 150 splendide riproduzioni a colori a tutta pagina in un volume di grande formato per rendere visibile a tutti questo gioiello dell’arte bizantina.

Ne parliamo con Emanuela Fogliadini, Dottore in Teologia e Storia, che si occupa d’iconografia e teologia bizantina-ortodossa, docente stabile di Teologia ortodossa e Arte e Teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano e di Storia della Teologia dell’Oriente cristiano presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano.

In quale secolo venne edificata la Chiesa di Chora? 

«La chiesa venne edificata nel VI Secolo e il programma iconografico fu realizzato nel XIII Secolo. È una chiesa splendida e suggestiva, patrimonio dell’UNESCO; a differenza di Santa Sofia dove l’architettura è preponderante, e dove vi sono tante finestre e un gioco di luci, a Chora hanno privilegiato il programma iconografico con mosaici e affreschi che coprono tutti i muri disponibili. Nel panorama di Istanbul è l’unica testimonianza che resta dell’arte bizantina, tutto il resto è stato distrutto nel tempo».

È vero che la Chiesa di Chora di Istanbul viene considerata la “Cappella Sistina di Bisanzio”?

«Mi fa sorridere questo parallelo con la Cappella Sistina, parallelo che nel mondo bizantino suona fuori luogo, ma certamente Chora è il capolavoro di Bisanzio, testimonianza unica del rapporto tra arte, liturgia e innografia. Il programma iconografico è molto studiato più che nella Cappella Sistina, perché a Chora gli artisti erano più controllati e specialmente le immagini dovevano onorare la liturgia. Nel mondo bizantino i programmi iconografici sono una espressione figurativa della storia della Salvezza». 

I mosaici e gli affreschi presenti sono tra le produzioni più importanti dell’arte bizantina. Qual è il tema principale di questi mosaici? 

«I mosaici hanno due temi principali, l’infanzia della Vergine che trae la sua origine dai Vangeli Apocrifi, in particolare il Protovangelo di Giacomo e i miracoli di Cristo. Questo significa che c’è una grande attenzione a onorare la Vergine come la dimora di Cristo (Chōra significa “dimora”) e la misericordia del Salvatore». 

E gli affreschi invece? 

«Gli affreschi sono legati al luogo, una cappella funeraria, che fu fatta aggiungere alla struttura originale, dove si celebravano dei riti funebri. Tutto il programma lo possiamo definire un percorso dall’Incarnazione alla Redenzione. Sono anche onorati svariati episodi dell’Antico Testamento legati alla figura della Vergine, come metafora dell’Incarnazione. Quindi gli episodi dell’Arca di Salomone, perché la Vergine è l’Arca di Cristo, a Mosè e il roveto ardente, figura patristica della maternità verginale di Maria».

La decisione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di trasformare il Museo Kariye (Chora) di Istanbul in una moschea è “un lampante tentativo di cancellare il ricco patrimonio bizantino di Istanbul”, ha dichiarato Robert G. Ousterhout, professore emerito di Storia alla University of Pennsylvania e specialista in Architettura bizantina. Che cosa ne pensa?

«Non è solo il tentativo di cancellare il patrimonio bizantino ma tutto un passato cristiano che era precedente all’Impero Ottomano, e che invece Ataturk quando aveva trasformato Santa Sofia e Chora in museo aveva cercato di rimettere all’onore, perché l’Impero Ottomano si forma sull’Impero Bizantino. Tutte le moschee antiche che ci sono a Istanbul erano delle chiese cristiane. Quindi da parte di Erdogan c’è un tentativo in un certo senso iconoclasta di cancellare questo mondo bizantino e anche di non comprendere il valore culturale ed estetico di queste chiese». 

La trasformazione nel 2020 del sito in moschea, la conseguente copertura dei mosaici, l’improvvisa chiusura al pubblico, rendono ancora più urgente tenere alta l’attenzione sulla chiesa di Chora? 

«Assolutamente sì, il libro vuole onorare questo programma iconografico eccezionale e allo stesso tempo tenere alta l’attenzione su questo sito. Una volta che questi siti vengono chiusi, siamo in un contesto non favorevole alla loro valorizzazione e inoltre non sappiamo cosa succede dentro. Quando questi patrimoni sono persi, sono persi per sempre. Chora è una chiesa, era pensata per la preghiera dei monaci, per niente altro. È un peccato che Erdogan non colga tale ricchezza e la strategia di far passare la decisione dal Consiglio di Stato renderà più difficile ad un eventuale prossimo presidente far tornare Chora allo statuto di museo». 

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