Otto giovani musiciste nel lager di Auschwitz. Matteo Corradini: “Ricordare significa allenare la nostra umanità”

In questi giorni in cui si celebra il Giorno della Memoria Lapis Edizioni pubblica un libro di Matteo Corradini, ebraista e scrittore, dedicato ai giovani lettori per farli riflettere su quello che accadde nel cuore del Vecchio Continente più di ottant’anni fa. 

Grazie a una magica conchiglia l’autore intreccia passato e presente nel testo “Eravamo il suono” (Lapis Edizioni 2024, età di lettura dai 9 anni, copertina di Francesca Gastone, pp. 224, 12,90 euro).

Corradini ha raccolto le storie di otto giovani musiciste, che vissero all’interno del lager di Auschwitz negli anni dello sterminio, intersecandole in un’unica storia al presente, dove un gruppo di ragazze sta preparando uno spettacolo-concerto per ricordare l’orchestra femminile di Auschwitz. Un racconto commovente e ricco di umanità, perché anche nel luogo più disumanizzante come può essere un campo di sterminio, si può accendere una luce di speranza.

Abbiamo intervistato Matteo Corradini, Dottore in Lingue e Letterature Orientali con specializzazione in lingua ebraica, che si occupa di didattica della Memoria e di progetti di espressione,  Premio Andersen 2018 come Protagonista della cultura per l’infanzia.

In quale anno e per quale motivo venne formata la Mädchenorchester von Auschwitz e perché era composta solo da giovani donne? 

«L’orchestra venne formata nell’aprile del 1943 e nacque dopo che erano già state formate diverse orchestre maschili. La musica ad Auschwitz esisteva, era naturalmente controllata dal comando nazista che usava queste orchestrine come un giocattolo. Da un lato per accompagnare con la musica l’uscita degli operai, chiamiamoli così, ma in realtà erano degli schiavi ebrei, portati fuori dal lager per essere costretti a lavorare nelle fabbriche, che si trovavano intorno al campo di sterminio. Dall’altro lato l’orchestra femminile serviva ad allietare feste, momenti di svago del comando nazista. Nonostante quello che stava accadendo il comando nazista ritagliava per sé qualche attimo di divertimento. I nazisti usavano l’orchestra come fosse un juke-box, ma dal vivo. La parte femminile del comando nazista decise dunque di organizzare un’orchestra composta da sole donne di nazionalità diverse. All’inizio l’orchestra era composta da donne che sapevano suonare, alcune di loro si erano esibite in concerti ed erano affermate musiciste. Altre componenti dell’orchestra invece erano semplici appassionate, quindi l’orchestra era formata da un gruppo eterogeneo. Poi quando nell’agosto del ‘43 venne nominata direttore d’orchestra l’austriaca Alma Rosé, l’orchestra femminile si specializzò. Vennero chiamate musiciste con un curriculum di tutto rispetto. A quel punto le esecuzioni diventarono di più alta qualità. La stessa Alma Rosé aveva una storia interessante: suo padre era primo violino dei Wiener Philharmoniker, prima che lei nascesse aveva collaborato con Brahms. Inoltre la sorella del padre di Alma aveva sposato Gustav Mahler».

Qual era il repertorio dell’orchestra? 

«Era il più vario possibile: musica lirica, canzonette francesi, canzoni popolari tedesche, musica sinfonica riarrangiata per meno strumenti di un’orchestra sinfonica. C’è da dire che gli arrangiamenti erano spericolati, perché quella non era una classica orchestra. All’inizio gli spartiti nel lager non ne entravano molti, quelli che entravano erano delle trascrizioni per pianoforte di opere celebri. Alma Rosé passava gran parte della notte a trascrivere per orchestra e ad arrangiare i brani che le venivano consegnati dalle SS in forma semplice. Altri brani che facevano parte del repertorio erano quelli che alcune orchestrali conoscevano a memoria». 

Cosa insegna alle giovanissime generazioni la storia dell’orchestra femminile di Auschwitz?

«Insegna non solo ai giovanissimi, ma anche agli adulti, che se in certe occasioni talvolta ci si salva da soli, in altre ci si salva, per forza, insieme». 

La musica salva la vita ancora oggi? 

«Certo, oggi consideriamo la musica come un passatempo, o come un riempitivo delle nostre giornate, almeno nel mondo occidentale. La storia di questa orchestra ci ricorda come fu importante e vitale in un luogo disumano come un campo di sterminio».

Nel 2013 ha fondato il Pavel Zalud Quartet, nel 2015 la Pavel Zalud Orchestra, entrambe le formazioni musicali eseguono partiture composte a Terezín e suonano strumenti originali dell’epoca. Ce ne vuole parlare? 

«Nel ghetto di Terezin si faceva musica e una parte di questa musica era diventata uno strumento di propaganda. Prima che Terezin fosse trasformata in un ghetto, c’era una fabbrica di strumenti musicali. Quando i nazisti occuparono il paese di Terezin per farne un ghetto, occuparono questa fabbrica di strumenti musicali, sfrattando i proprietari e requisendo gli strumenti, che vennero dati agli ebrei per questo esperimento di propaganda. Credevo che gli strumenti fossero andati distrutti, invece una serie di questi strumenti si è salvata. Un poco alla volta ne ho recuperati alcuni, il primo è stato un clarinetto. Nel tempo ne ho recuperati 17 facendoli restaurare». 

Quest’anno la Giornata della Memoria viene celebrata mentre in Medio Oriente si sta combattendo una guerra sanguinosa dall’esito incerto. Che cosa ne pensa? 

«Quest’anno sarà inevitabile collegare questa guerra, gli ebrei di Israele, al 27 gennaio. Fare memoria sui dolori del passato, sulla Shoah non significa chiudere gli occhi su quello che sta accadendo nel presente a Gaza, tra la popolazione palestinese. Tutti noi siamo preoccupati per quello che sta avvenendo nella striscia di Gaza, addolorati per i morti civili, per non parlare del duro attacco subito da Israele il 7 ottobre. La Memoria, ricordare, significa allenare la nostra umanità, e questo insegnamento quest’anno è ancora di più importante ed evidente».

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