Pio XII nella bufera della guerra. Valerio de Cesaris: “La Chiesa rimase accanto alla gente”

La copertina del volume

Il pontefice più controverso del Novecento è stato sicuramente Pio XII, nato Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli (Roma, 2 marzo 1876 – Castel Gandolfo, 9 ottobre 1958), perché durante la II Guerra Mondiale scelse la politica dell’imparzialità e dei silenzi, che furono in seguito oggetto di aspri dibattiti. 

Lo storico Valerio De Cesaris nel saggio“Nella bufera della guerra” (Gruppo Editoriale San Paolo 2024, pp. 289, 25,00 euro) descrive La Chiesa cattolica tra fascismo e democrazia 1939-1945, come recita il sottotitolo del testo, raccontando quel tempo drammatico, tratteggiando personalità, tra le quali Pio XII, e momenti significativi in un viaggio attraverso anni decisivi per la storia d’Italia. L’autore si occupa di storia politica e religiosa, con particolare attenzione alla storia d’Italia, i rapporti tra cattolici ed ebrei, l’antisemitismo e il razzismo, i fenomeni migratori, la storia della Chiesa cattolica. 

Dialoghiamo con Valerio De Cesaris, insegnante di Storia contemporanea all’Università per Stranieri di Perugia, sulla storia della Chiesa negli anni più terribili del XX Secolo, analizzando il delicato rapporto tra la Chiesa Cattolica e il fascismo già protagonista dei volumi “Seduzione fascista. La Chiesa cattolica e Mussolini 1919-1923” (2020) e “La battaglia per le coscienze. Chiesa cattolica e fascismo 1924-1938” (2022) . 

  • Nel 1939 ebbero inizio sia il pontificato di Pio XII sia la II Guerra Mondiale. Per quale motivo Papa Pacelli scelse la politica dei silenzi e dell’imparzialità, già sperimentata da Benedetto XV nella Grande Guerra? 

«La II Guerra Mondiale è un terreno invivibile per la Chiesa cattolica, perché la Chiesa è universale e nella guerra mondiale combattono su fronti opposti popoli cattolici. Quindi la Chiesa è spinta necessariamente ad avere una posizione di imparzialità, innanzitutto per non schierarsi contro popoli cattolici. In più c’è il tema della salvaguardia dei cattolici, che vivono in tutti i Paesi. Prendere una posizione netta nella guerra vuol dire esporre i cattolici dell’altra parte a persecuzioni. Inoltre, c’è un altro elemento da prendere in considerazione, cioè la Chiesa come spazio di asilo, la Chiesa che protegge i perseguitati e che si propone come possibile mediatrice nel conflitto. Tutto questo è possibile soltanto in una collocazione di imparzialità, senza essere schierata da una parte contro l’altra. Va anche considerato che la Santa Sede essendo un soggetto internazionale ha sempre l’esigenza di non essere trascinata da un nazionalismo a un altro, il nazionalismo è sempre un pericolo per la Chiesa cattolica».

  • Nella bufera della guerra la Chiesa acquistò un prestigio enorme tra la popolazione italiana per essere rimasta al proprio posto accanto alla gente dopo l’8 settembre 1943, quando le autorità italiane fuggirono. Ce ne vuole parlare, pensando anche alla cover del volume dove appare una celebre foto di Pio XII? 

«La Chiesa rimase al suo posto, questo può apparire scontato ma non lo era in un periodo di guerra in cui le città italiane subirono bombardamenti e tante autorità civili fuggirono nel settembre del ‘43. Invece la fermezza della Chiesa fu un segnale importantissimo per la popolazione che vi trovò assistenza. Si pensi, per esempio, a tutte le cucine popolari che la Chiesa aprì nelle città per sfamare le popolazioni che avevano perso la casa, che erano sfollati e che avevano bisogno di assistenza materiale. Questo fu riconosciuto alla Chiesa quando le varie città italiane si liberarono o vennero liberate alla fine della guerra. Un esempio vivido di ciò, è che a Roma il 4 giugno del ‘44, quando gli Alleati liberarono la città dai nazifascisti, la popolazione si riversò a Piazza San Pietro per ringraziare il Papa della sua opera di assistenza e di protezione. Il Papa aveva spesso chiesto che Roma non fosse bombardata, quindi in qualche modo aveva protetto la città. Roma venne bombardata ma in misura minore rispetto alle altre città. Il passaggio dai nazisti agli angloamericani a Roma non fu cruento, molti lo interpretarono alla mediazione papale, che aveva evitato combattimenti dentro l’Urbe. La foto della copertina del libro è una foto famosa del Papa scattata nell’agosto del ‘43 a San Giovanni. Va ricordato l’episodio precedente. Quando il 19 luglio del ‘43 fu bombardato il quartiere romano di San Lorenzo, Pacelli decise all’improvviso di recarsi lì, in genere Pio XII ponderava assai le sue decisioni. Il Papa lasciò il Vaticano in automobile insieme a Mons Montini, allora Pro-Segretario alla Segreteria di Stato. Giunti sul luogo del bombardamento parlarono con le persone, ma non ci sono foto di questo episodio. Quando Pio XII tornò in Vaticano, aveva la veste bianca sporca di sangue, quando glielo fecero notare il Pontefice disse: “È il sangue di Roma”. Pacelli rimase molto colpito dal bombardamento, era nato a Roma, quindi aveva un legame personale con la città». 

  • Pacelli come tentò di promuovere la pace? 

«Pacelli fece degli appelli a tutti i Capi delle nazioni belligeranti, sostanzialmente scrisse delle lettere e cercò anche di proporre la Santa Sede come spazio di mediazione. Ipotizzò la convocazione di una conferenza delle cinque potenze europee: Germania, Polonia, Francia, Italia e Gran Bretagna, al momento dell’invasione della Polonia da parte della Germania nel ‘39, per bloccare la guerra nelle prime fasi. Fallito questo tentativo, Pacelli continuò a spingere a livello diplomatico su tutte le cancellerie europee per cercare di arrivare a una conclusione della guerra». 

  • In che misura la Chiesa cattolica fu spazio di asilo e di protezione per i perseguitati dal nazismo? 

«Le persone più vicine a Pacelli erano: il Segretario di Stato, il Cardinale Luigi Maglione, Mons Giovanni Battista Montini e Mons Domenico Tardini. Montini, il futuro Papa Paolo VI, ebbe un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’ospitalità agli ebrei nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Nei nove mesi dell’occupazione nazista di Roma, Montini fu il tramite tra il Vaticano e il Laterano, dove erano ospitati tanti rifugiati tra cui numerosi ebrei. A Roma si stima che siano stati 4000 gli ebrei salvati dalla Chiesa dalla persecuzione nazifascista. Ad Assisi il vescovo Nicolini salvò molti ebrei e venne riconosciuto Giusto tra le Nazioni in Israele. Non esiste un documento scritto che testimoni un ordine esplicito di Pacelli ad accogliere gli ebrei nei conventi, ma il fatto che ci fossero ebrei nascosti in Laterano, nella Basilica del Papa, era un implicito segnale che il Papa approvava l’ospitalità». 

  • Come maturò la scelta per la democrazia? 

«La Chiesa in passato aveva sempre preferito regimi autoritari, perché sembrava garantissero meglio i valori tradizionali. Nella bufera della guerra si capì che i sistemi totalitari erano e sono in competizione con il Cristianesimo, perché erano e sono delle vere e proprie religioni politiche. Ciò è vero per il nazismo, che ha un apparato rituale, liturgico, una religione laica. Aggiungiamo anche il fascismo e il comunismo. Quindi la Chiesa capisce che questi sono regimi pericolosi non solo per la gente ma anche per la Chiesa, perché di fatto sono delle fedi alternative alla religione, ecco perché la Chiesa inizia a valorizzare la democrazia. Quando nel 1942 venne fondata in clandestinità la Democrazia Cristiana, la Santa Sede fu pronta ad appoggiarla. Fu da quegli anni che maturò la scelta per la democrazia. Nel Radiomessaggio del Natale ‘44, Pio XII parlò esplicitamente della democrazia come valore. Del resto la democrazia mette al centro la persona, mentre i sistemi totalitari mettono al centro lo Stato, dove la persona è un ingranaggio di un meccanismo complessivo».

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