Il crollo del cantiere a Firenze. Suor Chiara: Dalla nostra visione del lavoro dipende la costruzione del presente e del futuro

Ho letto con molta tristezza la notizia del crollo di un cantiere a Firenze, che ha condotto alla morte di cinque operai. Penso alle loro famiglie e in generale al fatto che il mondo del lavoro sia sempre più sbilanciato a ottenere profitti a scapito dell’attenzione alle persone. Eppure dovrebbe essere un ambito che definisce l’identità e la dignità di una persona.
Che cosa ne pensa? Possiamo noi come cristiani dire qualcosa perché il lavoro sia più umano?
Luigi

Caro Luigi, la notizia del crollo del cantiere a Firenze con la morte dei cinque operai è stata una sofferenza che ha causato un certo sgomento. Come è possibile che accadano ancora tragedie simili in questo tempo così tecnicizzato e all’avanguardia? Uomini impegnati nel proprio lavoro, provenienti da nazionalità diverse, un italiano e poi tutti stranieri, nordafricani e rumeni, morti perché lavoravano in condizioni precarie.

Persone giunte da paesi stranieri con il miraggio di una vita dignitosa e migliore di quella da cui provengono, impiegati in lavori pesanti, pericolosi e forse poco remunerati e soggetti quindi anche ad alti rischi di incidenti.

Lavoratori regolari, almeno lo speriamo, assunti in settori che ormai i nostri connazionali non scelgono più perché orientati verso occupazioni impiegatizie e non certo in cantieri edili.

La procura sta svolgendo le indagini per appurare responsabilità, rendere giustizia a queste morti ingiuste e per offrire aiuti adeguati alle loro famiglie. Il lavoro per tutti è un diritto, oltre che un dovere, che dà dignità alla persona e la rende collaboratrice nell’opera creatrice di Dio: è un bene dell’uomo, della sua umanità, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la realtà adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza sé stesso come uomo, anzi, in un certo senso, «diventa più uomo».

Se ogni persona deve trovare dignità in ciò che fa, le devono essere garantite tutte le condizioni per poter vivere e operare dignitosamente. Il lavoro non deve schiacciare le persone, ne deve essere vissuto secondo ritmi forzati che provocano ansia e impoveriscono la vita.

Per non parlare, come diceva recentemente il papa, di “alcune prospettive cupe in agguato: quella dell’illegalità, via di fuga dalla responsabilità verso il lavoro in nero, che poi finisce per rendere la coscienza dello stesso colore; quella di un lavoro disumanizzato, dove le moderne tecnologie, come l’intelligenza artificiale e la robotica, minacciano di sostituire la presenza dell’uomo; quella, infine, sempre più scandalosa e preoccupante, della mancanza di sicurezza sul lavoro, effetto della corsa febbrile a produrre di più ad ogni costo”.

Un altro aspetto importante è quello di non cedere agli inganni di chi vuol far credere che il lavoro, l’impegno quotidiano e il dono di sé stessi, non abbiano valore. Occorre percorrere la strada, luminosa e impegnativa, dell’onestà, fuggendo le scorciatoie dei favoritismi e delle raccomandazioni.

Ci sono sempre queste tentazioni, piccole o grandi, ma si tratta di cose indegne dell’uomo: vanno respinte, abituando il cuore a rimanere libero. Altrimenti, ingenerano una mentalità falsa e nociva, che va combattuta: quella dell’illegalità, che porta alla corruzione della persona e della società.

Il lavoro non è soltanto una vocazione della singola persona, ma è l’opportunità di entrare in relazione con gli altri: «qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé». Il lavoro dovrebbe unire le persone, non allontanarle, rendendole chiuse e distanti.

Occupando tante ore nella giornata, offre anche l’occasione per condividere il quotidiano, per interessarsi di chi ci sta accanto, per ricevere come un dono e come una responsabilità la presenza degli altri. Tutto questo è una sfida per tutti: dal modo con il quale pensiamo, viviamo e crediamo il nostro lavoro, dipende la costruzione del mondo di oggi e di domani.

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