Francesca Mannocchi racconta la guerra ai bambini: “Non hanno paura delle risposte”

Francesca: “Sei vivo?”
Yuri: “Sono vivo”
Francesca: “Stai bene?”
Yuri: “Sto bene!”
Francesca: “Sopravvissuto?”
Yuri: “Sopravvissuto!”

Yuri si occupa di trasportare le munizioni dai depositi alla prima linea del fronte. È un ucraino vestito da soldato di tutto punto, ma non è un militare professionista. Ha 40 anni. Sul braccio ha un flauto tatuato, l’unica cosa che si è portato da casa. Era un falegname che ha deciso di rispondere alla chiamata a difendere il proprio Paese dall’invasione russa. Ha iniziato a combattere a Bakhmut ed è poi stato trasferito a Zaporizhzhia. 

Francesca è Francesca Mannocchi, la giornalista freelance e scrittrice pluripremiata ed ha conosciuto Yuri in uno dei suoi viaggi per raccontare la guerra che ha rievocato lo spettro della violenza nel cuore dell’Europa.

Il dialogo tra i due è tratto dalla prima puntata del podcast “La guerra, per esempio” recentemente pubblicato da Chora Media e ascoltabile gratuitamente sulle principali applicazioni di streaming audio. Il dialogo a distanza tra i due ad un certo punto si interrompe: a domanda non segue risposta. Yuri è morto al fronte. Perché questo falegname solitario e flautista ha deciso di darsi alla guerra? Lo dice lui stesso: “Combatto io ora per evitare che tra dieci anni lo debba fare Polina – la figlia di 7 anni”.

Un podcast realizzato con i bambini della primaria

Francesca Mannocchi ha presentato il suo nuovo podcast durante il festival Volume1 organizzato da Chora Media negli spazi del conservatorio Verdi di Milano il 16-17-18 febbraio 2024. Ad ascoltarla nella sala Puccini un folto e commosso pubblico, travolto dalle emozioni che le voci dei bambini suscitano.

“La guerra, per esempio” è infatti un podcast realizzato insieme ai bambini di sei classi di una scuola primaria. In ognuna i bambini vengono trasportati con l’immaginazione dentro uno scenario di guerra di cui la giornalista ha esperienza: Ucraina, Afganistan, Libia, Siria, Libano, Iraq.

I bambini si immedesimano nelle condizioni di vita quotidiana di coetanei che vedono i carri armati stazionare nel giardino di casa o privati della scuola, senza corrente elettrica per giorni, con i genitori lontani. Le reazioni dei più piccoli sono domande sincere, obiezioni a ciò che viene deciso dai potenti del mondo, curiosità di varia natura, proposte di cambiamento.

La produzione è nata dopo la pubblicazione del volume Lo sguardo oltre il confine. Dall’Ucraina all’Afghanistan, i conflitti di oggi raccontati ai ragazzi edito da DeAgostini. Ma la vera origine è la domanda di Pietro, il figlio di 7 anni di Francesca Mannocchi, che un giorno, dopo aver guardato la tv, ha chiesto alla madre: “Ma la guerra, quando arriva da noi?”. Non “se”, ma “quando”. Da lì è partita la ricerca per poter raccontare le guerre ai bambini con serietà e verità ma in modo non traumatico.

“Cosa farei se mi trovassi in quella situazione?”

Il vero scopo del progetto è che i bambini imparino ad immedesimarsi, a chiedersi “Cosa farei io se fossi nei panni di questo bambino o in quella situazione?”. Il mondo dell’informazione porta continuamente notizie dal fronte che vengono rapidamente dimenticate e utilizza termini stereotipati e generici. Calarsi nella realtà significa restituire alle informazioni – alle statistiche – ai termini tecnici la dimensione del vissuto reale delle persone e permettere di avvertire il peso dell’ingiustizia che altrimenti rischia di venire dimenticata. I bambini sanno dimostrare solidarietà in maniera istantanea. È così che Marco, uno dei partecipanti al progetto, è arrivato ad affermare: “Alla fine, nella guerra muoiono solo le persone buone. Quelle che non c’entrano niente”.

Si deve raccontare per trasmettere quanto accaduto o è meglio dimenticare per sopravvivere? Questa domanda accompagna ogni trauma quindi ogni guerra. Francesca Mannocchi risponde: “Si deve testimoniare”: condividere quanto accade alla gente per capire chi sono le persone. Anche questo è un contributo per costruire la pace.

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