Testimoni di fede. La storia di un’aggressione alle suore missionarie in Etiopia: “Ho messo in salvo l’Eucarestia, un segno d’amore”

«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». 

Mi piace iniziare questa testimonianza con la celebre frase di San Paolo VI, convinta che valga per tutti, in ogni tempo e in ogni contesto, anche per noi consacrati.  

È quello che vorrei trasmettere attraverso questo breve racconto di una mia consorella che, rievocando una triste vicenda in cui è rimasta coinvolta anni fa, mi ha commosso per il suo coraggio e la sua devozione.

Essendo membro del Consiglio generale, era stata incaricata dalla Madre generale di recarsi in Etiopia, sua terra di appartenenza, in visita alle comunità. Mentre si trovava con le suore che lavoravano in una missione dove da 44 anni era attiva una clinica per persone disabili, gente dei villaggi d’intorno ha circondato la missione e fatto irruzione nei vari compaund: clinica, centro pastorale, casa delle suore e canonica. Urlando, i vandali hanno cominciato a rompere i vetri e, una volta entrati negli ambienti, si sono impossessati di ogni cosa, portando via tutto.

Potete immaginare la paura e lo sgomento di suore, volontari e ospiti che si trovavano nella clinica; così pure degli insegnanti che in quel momento erano riuniti presso il Centro Pastorale per un corso di formazione. Questo in sintesi il contenuto della triste notizia che 8 anni fa, ci trasmetteva la responsabile delle sorelle dell’Etiopia e che, una volta rientrata in Italia, ha raccontato la sorella Consigliera. 

Qualche giorno fa, invece, ricordando l’anniversario dell’accaduto, si è fermata a descrivere meglio un particolare, che forse avevo ascoltato in passato, ma senza porre la dovuta attenzione. Lo riporto con le sue parole: 

“Vedendo tutte quelle persone entrare in quel modo violento, rompendo tutto, prima di abbandonare la casa, sono corsa subito nella Cappella e, aperto il tabernacolo, ho preso con me l’Eucarestia, custodendola in me sotto la maglia. Non potevo lasciare questo prezioso Tesoro in balia di quei vandali. Che cosa ne avrebbero fatto?

Poi insieme alle altre sorelle e ai volontari ho raggiunto i disabili che erano nella clinica. Muniti di bastoni, i ribelli continuavano a distruggere tutto sotto i nostri occhi… E noi, impotenti, assistevamo a quella devastazione inspiegabile.

Finalmente, dopo un po’ di tempo vedemmo arrivare le auto della polizia e, uno ad uno, ci accompagnarono fuori, in salvo, noi e i disabili. Ci portarono in una missione di un villaggio vicino, al sicuro. Uscimmo senza niente, solo con l’abito che indossavamo… O meglio, io fortunatamente, avevo in tasca il passaporto per rientrare in Italia (le altre suore neanche un documento di identità) e, ben nascosto, il Tesoro più grande della mia vita: Gesù. Appena giunta alla nuova missione, consegnai al sacerdote l’Eucarestia salvata dalla distruzione!” 

A queste parole, gli occhi si fanno lucidi e si commuove, come se fosse accaduto ieri…

Il suo gesto mi rimarrà nel cuore come segno dell’espressione di un amore che noi consacrati siamo chiamati a vivere più radicalmente: l’amore per Dio, fatto di una premura e tenerezza che può e deve esprimersi sia adorandolo nel mistero dell’Eucarestia, sia nel volto dei fratelli e delle sorelle.

Un grande insegnamento con il quale voglio vivere questa quaresima.

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