“Padre nostro”, Luigi Maria Epicoco: “A Dio chiediamo anche il perdono quotidiano”

Il Padre Nostro è una delle più diffuse preghiere, che tutti i fedeli conoscono a memoria anche perché è una delle prime che viene insegnata ai bambini a Catechismo. 

La copertina del volume

Don Luigi Maria Epicoco, filosofo e teologo, presbitero della diocesi di L’Aquila, uno dei più apprezzati autori di spiritualità, che insegna filosofia alla Pontificia Università Lateranense e all’ISSR “Fides et Ratio” dell’Aquila, alla Pontificia Università Lateranense, alla Pontificia Accademia Alfonsiana, e alla Pontificia Facoltà Teologica Teresianum, ha scritto “Il Padre Nostro” (Gruppo Editoriale San Paolo 2024, pp. 143, 14 euro). Il testo è il secondo volume della serie “Insegnaci a pregare”, nata in occasione dell’“Anno della Preghiera”.

In queste intense pagine Luigi Maria Epicoco ci offre un commento della preghiera insegnata da Gesù stesso, soffermandosi sul testo rallentando la lettura e permettendo così alle parole di Gesù di entrare in relazione con noi in una maniera nuova. 

Ne parliamo con Luigi Maria Epicoco, parroco di San Francesco di Paola in L’Aquila, responsabile dell’Ufficio Cultura e Direttore della Biblioteca Arcivescovile “Card. Carlo Confalonieri” di L’Aquila, che si occupa a tempo pieno di formazione tenendo regolarmente conferenze e corsi di esercizi spirituali per religiosi e laici.

  • Scrive che “la preghiera deve diventare una manifestazione della nostra unicità”. Che cosa significa? 

«Innanzitutto la preghiera è una relazione e ognuno di noi costruisce le relazioni in base a come è. Significa che nella preghiera non esiste un modo unico di pregare, ma ognuno deve trovare ciò che più gli corrisponde, ciò che più lo aiuta nel vivere questa relazione, che è la preghiera». 

  • Quando la preghiera rischia di diventare “pagana”? 

«Quando tende a pensare che serve a convincere Dio ad essere dalla nostra parte, ad amarci e aiutarci. Dio è già convinto di questo, la preghiera è un modo di far funzionare un amore, che già ci è stato dato. Non un modo di convincere Dio ad amarci. Quando non siamo convinti dell’amore di Dio, siamo nella sfera del paganesimo». 

  • Che cosa risponde quando Le chiedono: “Padre, vorrei tanto imparare a pregare!”?

«Rispondo che il primo modo di pregare è quello di desiderare la preghiera. Quindi chi fa questa domanda, anche se non lo sa, ha già iniziato a pregare». 

  • Il “Padre Nostro” è la più grande professione di fede che possiamo fare come cristiani e rappresenta un vero e proprio programma che impegna tutta la nostra vita?

«Sì, infatti, la preghiera che Gesù ci insegna nel Vangelo non è una formula, non è un insieme di parole da ripetere a memoria, ma in quella preghiera c’è tutto quello che noi crediamo di Dio, tutto quello che Gesù ci ha insegnato nel Vangelo. Tutta la conversione di cui dovremmo essere capaci per metterci davanti a Dio così come Gesù ci ha insegnato». 

  • “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Il pane ci ricorda anche la grande differenza che c’è proprio tra l’essenziale e il superfluo? 

«Quando noi domandiamo il pane quotidiano, ovviamente stiamo chiedendo al Signore di darci ciò che serve davvero alla nostra vita. Ma abbiamo chiaro cosa è essenziale e cosa non è essenziale? Quindi la preghiera è anche il luogo del discernimento. Il luogo dove noi capiamo la differenza tra queste due cose».

  • “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il “Padre Nostro” contiene il grande tema del perdono e della misericordia. Ce ne vuole parlare? 

«Il perdono e la misericordia sono le due condizioni che Gesù più volte nel Vangelo dice essere necessarie per la preghiera. Ciò sta a significare che attraverso il perdono cerchiamo di prendere la distanza dal Male, dal Male che abbiamo ricevuto, dal Male che abbiamo fatto, che spesso è di impedimento a vivere diversamente la nostra vita. Il problema è che non basta perdonare una sola volta, così come domandiamo il pane quotidiano, dovremmo domandare anche il perdono quotidiano. La capacità di essere perdonati e di perdonare a nostra volta». 

  • “Non abbandonarci alla tentazione ma liberaci dal male”. La frase finale del “Padre Nostro” ci ricorda che il Padre non ci lascia soprattutto nell’ora della prova? 

«È una delle manifestazioni di amore più belle. La presenza di Dio è soprattutto lì dove avvertiamo di più la prova e la solitudine. La frase significa anche non essere lasciati da soli davanti a quel Male, che vuole farci ragionare in maniera diversa. È il Male della mentalità del mondo, di non ragionare come spesso ragionano i personaggi del Vangelo, che non accettano la logica della Croce. Gesù è sulla Croce e intorno a lui il Male continua a fare del male, perché dice: “Scendi da quella croce”».

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