Più comunità, meno mercato. La pace non può attendere

Si parla di pace nell’ultimo incontro della rassegna “Grammatica per una buona politica” organizzato dalle ACLI di Bergamo presso l’auditorium del Liceo Mascheroni. A prendere la parola per l’ultimo dei sei lunedì in calendario sono Franco Monaco, politico tra i fondatori dell’Ulivo di Romano Prodi – giornalista – persona di riferimento nel mondo cattolico milanese, e Monica Di Sisto, giornalista – esperta dei temi dell’economia e del commercio etici.

Il tema è importante e di grande attualità. Eppure corre il rischio di venire schiacciato dalla cronaca quotidiana di questi ultimi mesi o di essere squalificato come utopia irrealizzabile. I due ospiti delle ACLI cercano di riaffermare la necessità della costruzione della pace mediante una visione articolata della realtà e scelte coerenti.

Franco Monaco descrive lo scenario presente come quello di un “disordine mondiale”: dopo la fine della guerra fredda con la caduta del Muro di Berlino e la stagione, breve ed illusoria, dell’ordine unipolare, l’umanità è ora alle prese con l’incapacità di gestire un multipolarismo confuso nel quale interessi diversi confliggono tra loro provocando un crescente pericolo di aumento delle guerre. In questo scenario internazionale alquanto problematico le grandi istituzioni non sono più riconosciute come capaci di custodire gli equilibri e garantire benessere crescente per tutti. Ai molti proclami per la pace sembra non seguano azioni concrete ed efficaci per rendere visibile un cammino improntato al rispetto di tutti. 

Il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito terza guerra mondiale a pezzi in un vero e proprio conflitto globale.

Papa Francesco

Ma il bisogno della pace è grande e non è possibile tacere di fronte ai drammi che calpestano la dignità delle persone. Monica Di Sisto, con grande trasporto rivolgendosi in particolare agli studenti seduti nelle prime file dell’auditorium, restituisce al pubblico il volto reale delle guerre. Ricorda di un viaggio a Kiev con un nutrito gruppo di operatori umanitari immediatamente dopo l’inizio delle operazioni di guerra attuate dalla Russia: ricorda il cappuccio verde di un ragazzo che nel lungo viaggio fino all’Italia non ha mai mostrato il volto, ma solo il copricapo: non era più disponibile a confrontarsi con un mondo così violento. Ricorda il gatto stretto al petto da una bambina: l’unico sopravvissuto insieme a lei di un intero palazzo di quattro piani reso macerie dalle bombe.

La guerra è la mancanza di ciò che è più essenziale per la vita. Le conseguenze dei conflitti sono sempre un peso portato dalle persone più semplici. Le cause stanno nelle decisioni dei “registi”, coloro che detengono il potere – soprattutto economico – e che muovono le redini della politica e dell’economia globale secondo propri interessi, che nessuna autorità ha la capacità di governare. 

Per la giornalista romana non si deve accettare alcun compromesso: la scelta della pace deve essere netta. Ne va della dignità delle persone e della sopravvivenza dell’umanità. Dare credito al volere dei Padri Costituenti significa oggi uscire dalle logiche della conflittualità pervasiva, dare forza alle relazioni sociali e all’aggregazione delle comunità, porre un freno alle sole logiche imposte dal mercato in favore di scelte di rispetto delle persone e di sostenibilità. Dice: “Il cambiamento non è connaturale all’uomo che, come tutti gli esseri viventi, tende a difendersi. Ma se oggi non c’è cambiamento del paradigma della produzione e del consumo, se non si introduce il rispetto per le persone, ci sarà solo un aumento inarrestabile della conflittualità e quindi l’autodistruzione della specie”.

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”

Costituzione della Repubblica italiana, articolo 11

L’invito accorato rivolto al pubblico delle ACLI è di non sostenere chi sostiene la guerra, di non consentire l’aumento della spesa militare senza che ci siano adeguati organi politici capaci di governare i rapporti tra le nazioni. Quella che raggiunge il pubblico presente in sala è un’ondata di radicalità: non si può ammettere l’immobilismo o la mediocrità di fronte alle grandi sfide della storia presente. E la conclusione è un grande atto di fiducia nei giovani: “Serve un di più di comunità e un di meno di mercato. Se i ragazzi tirano le minestre, tiratele anche voi”.

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