Pignolo, nella chiesa di Santo Spirito il Compianto di terracotta di Agostino Ghilardi

Amore, dolore, speranza, meraviglia: è un concentrato di emozioni “Il compianto” di Agostino Ghilardi, gruppo scultoreo in terracotta esposto nella chiesa di Santo Spirito, nella parrocchia di Pignolo fino al primo aprile. 

L’installazione di Ghilardi è stata realizzata 25 anni fa, per il Giubileo del 2000. “Nata nel gruppo Dodas di Cremona – spiega l’artista -, per mantenere viva l’arte sacra che tutti davano per morta”.

Sono otto figure scultoree, un racconto che prende una forma plastica e dinamica. La scena che lo scultore reinterpreta è quella in cui Gesù viene deposto dalla croce, circondato da familiari e amici. “Compianto, perché sono sempre stato innamorato dei compianti – osserva Ghilardi – ma questo non ha nulla a che vedere con quelli antichi” e con un certo tipo di iconografia che oggi risulterebbe troppo schematica e ripetitiva.

“Mi ero accorto – spiega – che era sempre più frequente che le persone venissero portate a morire in ospedale, mentre in passato la morte in casa era un momento di cura, accompagnamento, relazione. Morire lontano dalla famiglia mi sembrava terribile. Così è nato questo lavoro, durato quasi un anno. L’ho esposto per la prima volta a Soncino, dove abito. Poi è diventato itinerante per portare in molti luoghi il suo messaggio”.

Ad ogni tappa il suo aspetto diventa più vissuto, perché a volte, come osserva l’artista, la terracotta si sbecca e si rompe. Un aspetto che sfugge, anche per l’aspetto volutamente grezzo, non completamente rifinito, delle sculture “fatte interamente con le mani” perché la luce possa danzare sulle curve, sulle asperità dei volti e dei corpi.

I personaggi della scena sono quasi tutti femminili, a parte San Giovanni, discepolo amato. “Lavano e vestono il morto, se ne prendono cura, come accade nella realtà, dove questi momenti sono quasi sempre appannaggio delle donne”. Nei loro gesti emerge il loro carattere, finemente tratteggiato, il modo in cui affrontano il dolore: con un urlo disperato, con un contenimento rigido dei tratti del volto, lo sguardo puntato verso l’infinito, un moto di sorpresa e di sdegno. Mille forme del dolore, che spingono a guardare in sé, a indagarne le radici, per stemperarle e farle diventare semi che la Resurrezione fa germogliare.