Dietro le quinte del sesto comandamento. Lucetta Scaraffia: ascoltare le vittime di “atti impuri” e prendersene cura

Il sesto comandamento da sempre al centro della morale cattolica è “Non commettere atti impuri” ma l’attenzione è sul peccatore, di cui la Chiesa si occupa, e mai sulla vittima, che anzi rischia di essere complice di questa impurità. 

Lucetta Scaraffia, storica e giornalista scrive “Atti impuri” (Giuseppe Laterza & Figli 2024, Collana “I Robinson/Letture”, pp. 88, 13 euro), dove affronta questo nodo centrale, di estrema attualità.

Abbiamo intervistato l’autrice, una delle voci più originali del mondo cattolico, che ha insegnato Storia contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma e come professoressa è stata invitata alla Sorbona di Parigi, editorialista de “La Stampa”, dal 2007 membro del Comitato Nazionale per la Bioetica e nel 2012 ha fondato l’inserto mensile dell’“Osservatore Romano”, che ha diretto fino al 2019.

  • Per quale motivo nessuno studioso ha analizzato il modo in cui, nei secoli, il nodo della sessualità come sopraffazione è stato elaborato nella tradizione cattolica? 

Perché nella tradizione cattolica c’è un modo di rappresentare la dottrina come immobile e immutabile che scoraggia ricerche e riflessioni di questo tipo.

  • Come mai nella riflessione cattolica una regola che condanna gli abusi sessuali non è mai stata chiaramente espressa, né dal punto di vista del diritto canonico, né da quello della teologia morale?

Assorbendo ogni forma di violenza sessuale nel sesto comandamento si è persa la valenza penale di questi atti, facendoli diventare solo un peccato che viene commesso dal colpevole, non un reato. Però la stessa cosa è avvenuta nel diritto laico, in cui fino agli anni Novanta lo stupro era considerato un delitto contro la morale, e non contro un’altra persona. Anche qui non c’era la vittima.

Sono state le pressioni del movimento femminista  che hanno indotto la giurisprudenza ad ascoltare le vittime, a vederle.

Nella cultura ecclesiastica, in cui la voce delle donne non viene ascoltata, questo passaggio non c’è ancora stato.

  • Tutto parte dal fatto che la cultura cattolica ha una concezione maschile della sessualità?

Sì, c’è anche questo problema. L’idea delle gerarchie ecclesiastiche è che comunque ogni atto sessuale provochi piacere, che quindi anche le vittime diventino colpevoli di trasgressione al sesto comandamento. Ovviamente avessero ascoltate le donne, avrebbero capito che non è così.

  • È vero che il sesto comandamento è l’unico del decalogo ad aver cambiato denominazione nel corso della storia? 

Il sesto comandamento, che corrisponde al settimo del decalogo ebraico, è stato “Non commettere adulterio” fino al XVI secolo, quando è diventato “Non commettere atti impuri”. Un cambiamento sostanziale, perché il testo originario si riferisce alla rottura di patti di rispetto e alleanza sociale, il secondo solo all’impurità del colpevole.

I protestanti non hanno mai cambiato la denominazione.

  • “Il piacere sessuale è un dono di Dio” ma è “minato dalla pornografia”, e rappresenta un “soddisfacimento senza relazione che può generare forme di dipendenza“, parole di Papa Francesco durante l’udienza generale, nella catechesi dedicata al vizio della lussuria. Che cosa ne pensa?

Che il piacere sessuale sia un dono di Dio l’hanno detto anche il concilio Vaticano II e in particolare l’ha ribadito Giovanni Paolo II nelle sue catechesi sul corpo. Niente di nuovo quindi.

La critica alla pornografia è giusta, e sarebbe necessario limitare la sua continua proliferazione e l’abuso che in particolare ne fanno i giovani. Ma si tratta di una industria milionaria, e nessuno ha il coraggio di opporsi sul serio.

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *