Verso le elezioni: nella testa degli americani. Francesco Costa racconta sfide e frontiere

Le “boneless chicken wings” – ali di pollo senz’osso – hanno conosciuto il successo negli Stati Uniti d’America nei mesi immediatamente successivi alla pandemia. Ovviamente non esistono ali di pollo senz’osso: si tratta di una rielaborazione del petto di pollo con una forma adattata alle richieste del mercato per consentire ai produttori di districarsi nella morsa della legge che regola domanda e offerta.

Quando tutti chiedono ali e non acquistano petti il prezzo delle prime cresce a dismisura e quello delle seconde crolla con grandi problemi nella gestione della catena dell’industria della carne.

Da qui la geniale idea di reinventare le tradizionali Buffalo wings giustificata con le nobili ragioni dell’opportunità di non sporcarsi le mani per poterle mangiare e di non vedersi costretti a togliere i filamenti di carne incastrati tra i denti dopo una cena con amici. 

Le ali di pollo falsificate sono uno degli esempi che Francesco Costa – vicedirettore de Il Post e scrittore – utilizza per aiutare il folto pubblico dei suoi lettori e delle persone che partecipano agli eventi in teatri e auditorium per comprendere la mentalità degli statunitensi.

Un popolo che l’autore di Frontiera – perché sarà un nuovo secolo americano (edito da Mondadori nella collana Strade Blu, 2024, 300 pagine) definisce con il termine “ingenuity”: non, come sembrerebbe, la traduzione di ‘ingenuo’, ma di ‘ingegnoso’.

Gli americani sanno inventare, trovare soluzioni, ideare opportunità: questa è la loro forza. Ma al contempo rischiano di essere anche ingenui: vivono in una cultura che tende ad eccedere con le semplificazioni, a non comprendere la complessità della coscienza umana e a non immaginare che le persone possano ingannare. 

Abbiamo scelto di andare sulla luna entro la fine di questo decennio: non perché sarà facile, ma proprio perché sarà difficile”.

John Fitzgerald Kennedy, 1962

Lo scrittore e giornalista è intervenuto recentemente a Ponte San Pietro all’interno della rassegna culturale Tierra! promossa dai sistemi bibliotecari di Dalmine e dell’area Nord-Ovest di Bergamo. La presentazione del suo ultimo libro è un’occasione per riflettere sull’incidenza del ruolo degli USA esercitata sul mondo in prossimità delle prossime elezioni presidenziali. 

Talvolta gli statunitensi visti dall’Europa sembrano indecifrabili e la comprensione di questa nazione si riduce ad alcuni stereotipi. Probabilmente proprio la discrepanza tra la realtà e la narrazione è una delle questioni chiave anche all’interno della realtà americana di questi tempi: i dati economici e occupazionali statunitensi fotografano una situazione florida, grandi investimenti pubblici stanno trainando l’economia e riportando entro i confini imprese e produzioni che si avevamo delocalizzato il loro lavoro, c’è un impegno per la transizione ecologica, gli stipendi salgono e – stando ai numeri – non c’è motivo oggi di immaginare gli USA come un impero in declino.

Eppure, quando si parla di sicurezza, scuola, servizi pubblici il cittadino medio americano non è convinto che le cose vadano bene. Riesce a percepire la positività della propria esperienza ma non quella della collettività. Evidentemente c’è un’incapacità da parte della politica di raccontare i progressi o, anche, un’abilità nella strumentalizzazione dell’opinione pubblica. Sono fenomeni che condizionano le scelte elettorali, non necessariamente arginati dall’oceano: è utile conoscere cosa accade tra la costa atlantica e quella indiana per essere avvertiti di come potrebbero funzionare i processi collettivi anche in Europa.

Certo la società nord-americana ha delle caratteristiche sue: al contempo opportunità e sfide. Si tratta dell’unica nazione al mondo da sempre multietnica. Fin dalle origini convivono su quel territorio persone provenienti da luoghi diversi del mondo e, ancora oggi, è una terra che attrae persone da ogni dove.

Il tema dell’identità si configura quindi in maniera del tutto singolare: conta poco la divisione in classi sociali e molto la provenienza geografica. Ciò spiega come questa parte di mondo rischi di vivere in un perenne conflitto interno perché le possibilità di mediazione si riducono all’osso: si può trovare un compromesso su tasse e leggi ma non sul colore della pelle.

Gli USA sono un luogo al contempo geniale e ingenuo anche quando si parla di sicurezza e di violenza: qui le persone tendono a dormire “con la porta aperta” mentre tengono una pistola sotto il cuscino; qui si tollerano forme di discriminazione di alcune componenti etniche della società ma anche si generano efficaci e imponenti manifestazioni come quelle accadute dopo la morte di George Floyd nel 2020.

Sono americani: il mondo non li spaventa. O meglio, il mondo li spaventa, certo che li spaventa: lo vediamo bene anche noi, guardandoli da fuori. Ma loro tirano dritto, come se non se ne rendessero conto”.

Francesco Costa, Frontiera

Quella americana è una storia al capolinea? Queste contraddizioni interne faranno implodere il sistema economico – militare – politico che più di ogni altro ha condizionato il mondo nell’ultimo secolo? Se lo chiede Costa come molti attenti osservatori dei cambiamenti geo-politici.

Negli ultimi decenni molte risorse economiche si sono spostate verso l’Asia, nuovi soggetti sono diventati rilevanti sulla scena globale e talvolta l’influenza e l’efficacia degli Stati Uniti sembrano messe in discussione.

Tuttavia, risponde Francesco Costa, questo sarà ancora un “secolo americano”. Forse non il prossimo – sostiene l’autore che ammette di non possedere la sfera di cristallo – ma questo si, con ogni probabilità.

L’economia interna è forte, il “sorpasso cinese” non c’è stato, la capacità degli USA di rispondere alle sfide del momento sembra alta. I tempi sono cambiati e il rapporto tra gli Stati Uniti e il resto del mondo non sarà lo stesso del secolo scorso, chiunque vinca le elezioni presidenziali.

La propensione a occuparsi delle questioni estere per lungo tempo e con un impegno militare diretto è decisamente minore, la tendenza a coltivare il proprio benessere come prioritario è accresciuta. “Andrà in crisi questo modello?” – chiede una persona dal pubblico – “Cambierà. Ma non subito” – risponde Costa.

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