Leggende bergamasche. Un ballo col diavolo

disegno Un ballo con il diavolo

Il diavolo è tra i protagonisti più assidui delle storie popolari. Abile dissimulatore, il principe delle tenebre amava travestirsi da giovane galante, pronto a portare alla perdizione le ingenue fanciulle, amanti del ballo e un po’ restie ad ascoltare gli ammonimenti dei genitori.

Ma la vera natura del maligno non tardava a rivelarsi: sul più bello le inconsapevoli vittime si trovavano a tu per tu con un individuo spregevole, dotato di corna, coda e zampe bovine, pronto a trascinarle con sé nel baratro infuocato.

Questo, all’incirca, è ciò che accadde alle protagoniste della storia che qui presentiamo in dialetto e di quelle delle pagine seguenti.

Öna ölta gh’era do sorèle chi era sensa mama e i gh’era poca òia dè fan, i era ‘n po’ sgorlandùne e i parlàa doma dè murùs: i era la crus dè sò pader.

Öna sira i è rià ‘n del sò paìs du zùegn e i è ‘nda söbet fò dè ca dè chèle tuse.

Chèste i s’è face truà söbet e i s’è metìde dè corde dè fa ü gir ènsèma.

I è ‘ndade ‘ndo che gh’era la stala coi ache e, sicome l’era amò frècc, perché l’era ol mis dè mars, i è stade ‘n dè stala a fa éla, co’ scè du zùegn.

Prima i a parlà ‘n po’, dopo i s’è metì dré a zügà, ‘nféna chi a cumincià a balà.

Dopo ‘n po’ dè tep i s’è metì dré a fa di porcàde, ma la piö ègia, che l’era piö fürba, l’a èst chè ‘l sò zùen el gh’era i pé dè aca, gliùra l’a capì chè l’era ol Diaol e, ‘ntat chè chesto ‘l l’a miga ésta, l’è scapada a ca a ciamà ‘l sò pader.

Ol sò pader, quande l’a saì chèste róbe, prima ‘l gh’a dà öna buna pestada àla tusa e po’ dopo l’a ciamà aiuto per endà sö a salvà l’otra tusa.

I è partì ‘n sic o ses, ma quande chi è rià sö àla stala i a truà piö nigǘ, i a ciamà e ciamà ma nigǘ i respundìa. 

Finalmente i a ést en dèl fénér la tusa morta, töta brüsàda, ma i diaoi i gh’era piö, gna nigher gna bianc.

La sorèla la s’è metida dré a pians, la s’è truàda pintìda dè è tirà sö la catìa strada la sorèla piö zùena, ma ormai l’era trop tarde.

Chèsto ‘l capita a chi chè sculta miga i sò genitùr è i öl fa dè sò crapa.

La danza scatenata di tre giovani di Semonte

A ballare col diavolo ci andarono anche tre giovani di Semonte, i quali una sera entrarono in una balera, piena di ragazzi e ragazze che ballavano in allegria.

Anche loro si lanciarono nelle danze, scambiandosi a più riprese le damigelle, ma ad un certo punto uno dei tre, dovendosi chinare per raccogliere qualcosa che gli era caduto, notò con spavento che tutti i ballerini avevano zampe di mucca o di capra.

Messi al corrente gli altri due dell’orribile scoperta, decisero di andarsene via alla chetichella, ma non riuscivano più a trovare l’uscita. Dopo aver girato invano per un po’ di tempo, salirono al piano superiore e finalmente scorsero uno stretto abbaino attraverso il quale riuscirono non senza difficoltà a calarsi all’esterno.

Poi via di corsa, ma fatti pochi passi sentirono uno scoppio. Si voltarono e videro la balera avvolta nelle fiamme.

Per fortuna i diavoli non sempre riuscivano nel loro intento, a volte rimanevano scornati e se ne dovevano tornare nell’Inferno a mani vuote.

Una tentazione per i pescatori del lago d’Iseo

È il caso di un povero diavolo in servizio nei paesi circostanti il lago d’Iseo, il quale voleva indurre in tentazione i pescatori della zona affinché si dedicassero al gioco e alle libagioni.

Una mattina si mescolò a un gruppo di pescatori che erano appena sbarcati dopo una nottata di lavoro e anziché lasciarli tornare alle loro case a riposare, li convinse a raggiungere una bettola per trascorrervi alcune ore in allegria. Ma quando ormai sembrava che il diavolo avesse raggiunto il suo scopo, ecco farsi avanti il parroco del paese che fu più convincente del suo nemico e indusse i pescatori a tornare a casa, non prima di essere passati un momentino in chiesa per recitare qualche breve orazione.

Fuori di sé per lo smacco subito, il diavolo si rivolse minaccioso al parroco e lo avvertì che allo scoccare della mezzanotte ne avrebbe combinata una delle sue. 

Il parroco, alla sera, invece di mettersi a letto, rimase sveglio e salì sul campanile, rimanendo in attesa della mezzanotte e dedicandosi nel frattempo alla preghiera.

Al primo rintocco delle ventiquattro ecco apparire il diavolo, alto e terribile, in cima a un monte che costeggia il lago. 

Con uno sforzo formidabile, accompagnando il gesto con una risata fragorosa, il principe delle tenebre strappò dal cocuzzolo del monte un enorme macigno e lo scaraventò nel lago, facendo alzare delle onde imponenti. Immediatamente dopo ripeté l’operazione, scagliando nel lago un altro poderoso macigno, quindi si accinse a sradicarne un terzo, manifestando chiaramente la sua intenzione di far affondare tutti i pescherecci impegnati della pesca notturna e far morire tutti i pescatori.

Allora il parroco, invocata la protezione divina, alzò sopra la testa il crocifisso che teneva al collo, tracciò nell’aria un ampio segno di croce e si attaccò alle campane facendole suonare a distesa.

Il diavolo ebbe appena il tempo di lasciar cadere nell’acqua il terzo macigno e poi fu costretto a fuggire in un tenebroso turbine di vento.

Il sacerdote, affranto per la tremenda esperienza, rimase tutta la notte sul campanile, raccolto in preghiera, poi, alle prime luci dell’alba, scrutò il lago alla ricerca dei pescherecci.

Li vide, infatti, che stavano rientrando, tutti apparentemente intatti, e vide anche tre isolotti, mai notati in precedenza, allineati lungo la sponda del fiume.

Vende l’anima al diavolo in cambio dell’acqua

Tutt’altro che insolita era la possibilità che qualche disgraziato vendesse l’anima al diavolo, in cambio di un grosso favore.

È il caso di un giovane contadino della Valle Imagna, proprietario di un roccolo posto presso la forcella del monte Castra.

Quest’uomo era tormentato dal desiderio di far arrivare l’acqua al suo roccolo, ma ogni tentativo era stato vano, finché un giorno gli comparve il diavolo che si offrì di fargli avere l’acqua, fresca e abbondante, chiedendo in cambio la sua anima.

Dopo parecchi tentennamenti, il contadino si ridusse a scendere a patti col diavolo il quale però avrebbe dovuto realizzare l’acquedotto durante la notte seguente, ultimandolo prima del canto del gallo.

Per sua fortuna il contadino aveva una moglie assai accorta e intraprendente, la quale, messa al corrente dello scellerato contratto, nel colmo della notte girò tutti i pollai della zona, finché riuscì, non si sa come, a far cantare un gallo un po’ prima dell’alba, quando il diavolo non aveva ancora ultimato la sua opera.

Così il contadino si salvò l’anima ed ebbe il suo acquedotto, che esiste ancora oggi. 

E quella zona da allora prese il nome di Cantagallo.

Disegno di Sharon Rota