Young Verdello

C’è una colomba con le ali spiegate e sullo sfondo il mondo: il simbolo dell’oratorio di Verdello, fondato nel 1968, parla già di accoglienza. E in effetti dentro le mura dell’oratorio c’è un microcosmo di storie, di persone che si incontrano. Una situazione fluida, com’è nello stile contemporaneo, in cui convivono generazioni diverse, culture e tradizioni diverse, e ognuno ha qualcosa di particolare da fare e da chiedere all’oratorio. Un grande palazzo che si affaccia sulla strada, tanti spazi sempre occupati, a tutte le ore del giorno: è un punto di riferimento per tutta la comunità.

E proprio per questo l’oratorio (dappertutto, non solo a Verdello, naturalmente) è un luogo “esposto”, un luogo “rischioso”. I rischi però possono essere anche un punto di partenza per risposte “creative”, per nuove sperimentazioni: è accaduto questo con “Stop & go”, un progetto durato tre anni, frutto di un lavoro di rete che ha coinvolto oltre all’oratorio di Verdello l’Università di Bergamo, la cooperativa Socrates, il comune e l’istituto comprensivo di Verdello, l’Ufficio diocesano per la pastorale dell’età evolutiva, la residenza teatrale “Qui ed ora”, numerosi gruppi e realtà sociali del territorio, tra i quali in particolare le associazioni Cif, Greenville e Millennium, con la promozione e il sostegno economico di Robur Solidale Onlus. Ora tutto questo lavoro viene raccolto in un volume pubblicato dalla casa editrice Tera Mata. «Qualche anno fa – racconta don Efrem Lazzaroni, direttore dell’oratorio – ci siamo trovati in seria difficoltà: c’era un folto gruppo di ragazzi delle scuole medie e delle superiori che mettevano in atto comportamenti devianti, atti di bullismo, circolavano stupefacenti, ci provocavano anche duramente. Sono stati anni di trincea, che hanno comportato anche danni fisici all’oratorio. Anche le attività dello spazio compiti erano costantemente turbate da veri e propri “assalti”. Allora abbiamo deciso di chiedere aiuto per poter trovare risposte nuove a questa emergenza educativa. Ci interessava intervenire non con una logica repressiva, ma inclusiva. Era una situazione molto difficile, perché in alcuni casi siamo arrivati anche a vere e proprie denunce, facendo intervenire le forze dell’ordine. Ci siamo messi in rete con associazioni, istituzioni, diverse realtà del territorio e da quando siamo riusciti ad avviare il nostro progetto la situazione è migliorata».  Ha sicuramente un peso la presenza di persone provenienti da realtà molto diverse: «C’è una buona percentuale di ragazzi di origine straniera, a scuola sono quasi il 25% del totale. Sono figli di immigrati, ma sono nati qui, non hanno bisogno di una nuova alfabetizzazione. Anche la scuola lavora molto sull’integrazione, interviene con lavori mirati sulla gestione delle emozioni e sui conflitti e i risultati si vedono sul territorio. Negli ultimi tempi, poi, forse l’immigrazione è anche un po’ calata».

Il progetto «Stop & go» ha messo a tema l’educazione lavorando a 360 gradi accanto ai ragazzi, usando tutti i linguaggi a disposizione. È stato attivato per esempio un laboratorio di graffitari, è stata coinvolta l’Associazione Greenville per l’aggregazione musicale, la residenza teatrale Qui ed Ora per mettere in scena alcuni spettacoli, e c’è stato perfino un laboratorio di rap. E poi scacchi, giardinaggio, giochi di movimento, feste. Ora il libro dà conto di questi tre anni di lavoro, e diventa una traccia messa a disposizione di tutti, con la prospettiva chissà, anche di fare da motore a nuove esperienze che vadano nello stesso senso, in altri oratori che abbiano problemi affini. Ad affiancare don Efrem in questo periodo ci sono stati alcuni docenti dell’Università ed educatori formati per il controllo e la prevenzione in controlli informali a rischio. «Anche la fondazione Robur – sottolinea don Efrem – è stata un partner molto importante, non solo per il sostegno economico offerto ma nella costruzione del progetto educativo, un vero lavoro di rete. Alla base la convinzione che l’oratorio non sia soltanto un luogo di aggregazione ma un posto dove si può costruire una cultura, un modo di procedere utile anche in altri contesti, che  può aiutare anche gli educatori a crescere e offrire loro nuove competenze». Il cuore di questa esperienza è stata la creazione di un’équipe educativa forte che ha compiuto insieme un consistente lavoro di formazione, di condivisione e poi di rilettura dell’esperienza sul campo con i ragazzi.

Gli educatori che hanno partecipato in tutto sono una decina: «Alla base – spiega don Efrem – c’era anche l’obiettivo di coinvolgere i genitori e in generale gli adulti della comunità, far crescere il senso di responsabilità e affiancare al lavoro degli educatori professionisti anche l’apporto del volontariato. «Uno dei nostri luoghi di sperimentazione – spiega don Efrem – è stato il bar, dove c’erano forti difficoltà di incontro tra le generazioni». A dare una mano c’erano anche alcuni giovani volontari dell’oratorio che ora sono rimasti a dare una mano e si occupano dell0 spazio compiti e di alcune attività di aggregazione. «Abbiamo gettato dei semi – osserva don Efrem – abbiamo mostrato alcune possibilità e abbiamo constatato che qualcosa si può fare. Fra l’altro è stato interessante capire che tipo di sguardo posavano sull’oratorio delle persone che venivano da fuori. All’inizio qualcuno lo ha visto come uno svantaggio: quando poi andranno via – è stata l’obiezione più diffusa – non ci resterà più nessuno. Ma hanno aiutato anche noi a cambiare sguardo, ci hanno portato un’iniezione di entusiasmo e ci hanno aperto degli orizzonti, dei percorsi, delle possibilità: quali azioni si possono fare per rispondere a una determinata dinamica e risolvere un problema.  E poi all’interno dell’oratorio sono nate delle buone relazioni, che ora continuano. Si è sviluppato uno stile improntato sull’attenzione, il tempo, la pazienza. L’importante alla fine non sono tanto i numeri (quanti hanno partecipato, quanti partecipano ancora, quante attività sono rimaste) ma la conquista di questo atteggiamento di flessibilità e spontaneità e della capacità di stare bene insieme».

PER APPROFONDIRE

Le esperienze di tre anni raccolte in un libro: una storia da condividere
Quello che è rimasto: un oratorio più ricco di idee e nuove linee d’azione