Andrea Riccardi racconta San Giovanni XXIII: l’uomo dell’incontro

La Fondazione Papa Giovanni XXIII e l’Ente Bergamaschi nel mondo propongono per sabato 19 luglio, alle 10.30, in via Arena 26 a Bergamo un incontro su “ San Giovanni XXIII: l’uomo dell’incontro”, in cui si parlerà dell’attenzione dedicata da Papa Roncalli ai temi (attualissimi) dell’emigrazione e dell’immigrazione, temi che continuano a interrogare i cristiani anche oggi. Interviene Andrea Riccardi, storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, già ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione, che affronterà questo tema alla presenza del vescovo di Bergamo Francesco Beschi. In particolare richiamerà le tappe della vita di Roncalli migrante e i suoi rapporti con gli immigrati nei Balcani, sulle rive del Bosforo e in Grecia, come delegato apostolico, e poi come nunzio apostolico a Parigi dove si adoperò molto per i suoi conterranei e, più in generale, per i lavoratori italiani stabilitisi oltralpe.

Il professor Riccardi, affrontando il pontificato giovanneo, richiamerà l’enciclica “Pacem in terris” che ribadisce il diritto di emigrazione e di immigrazione. Vi si legge infatti: “Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse. Per il fatto che si è cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale”. Da qui uno sguardo all’attualità con il suo carico di problemi gravissimi che è sotto gli occhi di tutti. Per questa occasione vi riproponiamo l’intervista al professor Riccardi che avevamo già pubblicato in vista della canonizzazione di Papa Giovanni.

«Credo che la Chiesa voglia mostrare Roncalli, attraverso la sua canonizzazione, non solo come un grande Papa ma come modello di vita per i cristiani» puntualizza Andrea Riccardi riferendosi alla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, avvenuta il 27 aprile. I due Pontefici insieme rappresentano per il fondatore della Comunità di San’Egidio «la fiducia nel futuro. La speranza cristiana, che ha dato loro modo di guardare al futuro, senza rimanere ingabbiati dal senso di impossibilità». Angelo Giuseppe Roncalli (1881 – 1963), bergamasco, colto, storico, prima di diventare Papa nelle sue missioni diplomatiche «seppe penetrare in profondità i mondi in cui visse». Quella di Roncalli fu dunque per il Professor Riccardi, studioso della Chiesa contemporanea e delle religioni, esperto del pensiero umanistico contemporaneo, «una diplomazia del Vangelo». «Un cristiano sul trono di Pietro» così nel 1965 la filosofa tedesca Hanna Arendt aveva definito Giovanni XXIII, un uomo il quale «nel bel mezzo del nostro secolo ha deciso di prendere alla lettera, e non simbolicamente, ogni articolo di fede che gli era stato insegnato».
Professor Riccardi, nel libro “L’uomo dell’incontro. Angelo Roncalli e la politica internazionale” (Edizioni San Paolo 2014), racconta un aspetto meno conosciuto del Papa Buono, quello di diplomatico vaticano tra due guerre mondiali. Roncalli nel suo ruolo di nunzio come e quali modelli di relazioni internazionali e interreligiose seppe instaurare?
«L’immagine del “Papa Buono” riferita a Roncalli coglie una sostanza molto vera della sua personalità e soprattutto del suo cuore, ma ha rischiato di oscurare la comprensione della complessità della sua esperienza al servizio della Chiesa. Per larga parte della sua vita Roncalli è stato un diplomatico di rara finezza ed efficacia nella soluzione dei conflitti e delle questioni “calde” a oriente come a occidente. Il suo metodo era dettato dalla fede e, a mio avviso rimane come un’eredità preziosa per la pace: “cercare ciò che unisce, lasciando da parte ciò che divide”. Non si tratta di ingenuità ma di sapienza.»
Rappresentante della Santa Sede dal 1925 al 1953 prima come visitatore apostolico in Bulgaria, poi delegato apostolico in Turchia e infine nunzio apostolico a Parigi, capitale di uno Stato laico. Vuole stilare un bilancio di Angelo Giuseppe Roncalli diplomatico “viaggiatore instancabile” sempre interessato al mondo degli “altri”?
«Non credo si possa tracciare un bilancio. L’idea che animava il nunzio Roncalli era quella di una semina gratuita e larga capace di sciogliere antiche ruggini e avvicinare mondi religiosi e culture che da secoli vivevano senza aver bisogno l’una dell’altra. L’opera del nunzio era improntata a far sentire che il papa era il padre universale che aveva a cuore le sorti dei popoli. Un esempio tra tanti: l’infaticabile attività per sostenere le piccole comunità rurali della Bulgaria che avevano subito il dramma del terremoto. Ancor di più la sua opera di salvataggio degli ebrei che cercavano scampo dall’olocausto in Turchia. In questo senso più che definire con precisione i risultati credo si possa dire che già nel Roncalli diplomatico si esprime uno stile nuovo di essere nunzio, di essere vescovo, di essere cristiano.»
Durante la recente intervista che Papa Francesco ha concesso al quotidiano Il Corriere della Sera, Bergoglio alla domanda del direttore De Bortoli sulla visita pastorale in Terrasanta, sugli ortodossi, il Santo Padre ha detto che “la strada dell’unità vuol dire camminare e lavorare insieme”. Ritiene che le scelte di Papa Francesco nel campo dei rapporti internazionali e con le altre culture siano nel solco tracciato dalla “diplomazia ecumenica e pastorale” del nunzio Roncalli?
«Senz’altro, Papa Francesco è un figlio del Concilio, e in questo senso si colloca nella grande visione di Papa Giovanni XXIII, che è oggi entrata nelle fibre stesse della Chiesa. Certo, questa espressione “camminare insieme” è emblematica direi del metodo di lavoro di Papa Francesco (non dimentichiamo le sue prime parole il giorno dell’elezione: popolo e vescovo camminano insieme). Sull’ecumenismo direi, le strade sono complesse e seguono itinerari pieni di ostacoli, ma la volontà del Papa è fortemente improntata al dialogo senza riserve. Bisogna pregare e sperare che da parte di tutti i cristiani sia avvertito lo scandalo della divisione, come diceva il Patriarca Atenagora, e ci si renda conto della grande credibilità che avrebbe una Chiesa unita nel nostro mondo globalizzato.»
Quale fu il rapporto di Papa Roncalli con l’Unione Sovietica di Kruscev al tempo della Guerra Fredda?
«Il pontificato di Roncalli ha vissuto in piena guerra fredda e anche il Vaticano si sentiva un po’ prigioniero della cortina di ferro. Sembrava possibile solo tenere accesa una luce, tener allacciati fili tenui, in attesa di tempi migliori e per evitare il peggio… Roncalli ha compiuto passi significativi a livello personale che hanno liberato il Papato da questa tenaglia, si pensi solo al coraggioso incontro con il genero di Kruscev, tanto audace che l’Osservatore Romano si rifiutò di pubblicare l’avvenimento… L’idea del Papa non era quella di una strategia precisa per vincere il comunismo, impensabile ai suoi tempi, ma direi che la sua preghiera e la sua visione spirituale generavano una forza capace di saltare le barriere e di sperare al di là del possibile…».
I due Papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati canonizzati insieme: non era mai accaduto nella storia della Chiesa. Che cosa hanno in comune i due Pontefici che Bergoglio ha deciso di iscrivere nell’elenco dei santi?
«La fiducia nel futuro. La speranza cristiana, che ha dato loro modo di guardare al futuro, senza rimanere ingabbiati dal senso di impossibilità. Mi sento di dire che non è un caso che Papa Francesco abbia voluto affrettare queste canonizzazioni e unire in un’unica celebrazione la proclamazione della santità di questi due Papi, mostrando al mondo il volto di una Chiesa povera e per i poveri, espresso pienamente dal Concilio. È il popolo di Dio, in mezzo ai popoli del mondo, che vive la simpatia verso tutti e comunica la buona notizia del Vangelo nelle periferie geografiche ed esistenziali.»
Nel Suo editoriale pubblicato sul numero XII di Famiglia Cristiana, riferendosi a Papa Francesco scrive che il Pontefice sta guidando i cristiani alla riscoperta del Vangelo uscendo dagli spazi abituali per comunicare la fede in mezzo alla gente, soprattutto i poveri. “La proposta è uscire con fede, come dice nell’Evangelii gaudium, suo vero programma”. Eppure dentro la Chiesa ci sono delle resistenze. Per quale motivo?
«Dentro la Chiesa ci sono delle resistenze, anche se può apparire contraddittorio che i cristiani non gioiscano di questa stagione felice per la fede. Ci sono le resistenze di chi non vuole cambiare, di chi non vuole vivere in maniera impegnata o semplicemente lavorare di più. Per una visione ideologica del cristianesimo, la Chiesa non cresce e si blocca in un modello o in una formula. Forse non ci si rende conto delle gravi sfide in varie parti del mondo rivolte al cristianesimo. Ma ritengo che le tante resistenze siano il segno che il papa sta cambiando la Chiesa.»