Zaino in spalla, il Cammino di Santiago diventa un’avventura

Era il 2008 ed era l’anno della maturità. Tutti i miei amici avevano già prenotato i biglietti per qualche isola greca, io ed Elena, la mia compagna di avventure non ne eravamo molto convinte. Avevamo voglia sì di qualcosa che ci facesse “staccare la spina” al cento per cento da libri, versioni e dizionari, ma avevamo soprattutto voglia di un’esperienza, di qualcosa che porti con te per sempre. La risposta è stata: Il cammino di Santiago.
Da sempre ne ero affascinata, avevo visto documentari, letto libri e visitato qualsiasi portale presente in rete. Finalmente avevo l’opportunità di percorrere il mio cammino. Per chi non lo sapesse il Cammino di Santiago di Compostela è il lungo percorso che i pellegrini fin dal Medioevo intraprendono, attraverso la Francia e la Spagna, per giungere al Santuario di Santiago di Compostela, presso cui ci sarebbe la tomba dell’apostolo Giacomo il Maggiore.
Non voglio però narrarvi di come storia e leggenda si uniscano e di quanto sia fortemente radicato nella tradizione spagnola il pellegrinaggio a Santiago. Quello che vorrei fare è semplicemente invogliarvi a ripetere la mia stessa esperienza.
Subito dopo la fantomatica “terza prova” di maturità,  iniziano i preparativi per il viaggio. Scegliamo di raggiungere Santiago a piedi. Tra le varie possibilità rientravano la bicicletta e il cavallo. Noi abbiamo preferito essere “convenzionali”. Siamo, invece, state originali evitando la partenza dal passo di Roncisvalle, assai difficoltoso per chi è completamente fuori esercizio, optando per  il camino aragonés, attraversando le città di Jaca, Sanguesa e Eneriz per poi raggiungere il camino frances nelle città di Pamplona, Logrono, Burgos e Leon. Elena aveva contattato la Confraternita di Santiago di Compostela per richiedere la “Credencial del Peregrino” un vero e proprio documento che attraverso i “sigilla singuli loci” testimonia i giorni, i kilometri e i luoghi del pellegrinaggio che si sta compiendo. E’ proprio la Credencial a decretare l’ottenimento o meno della “Compostela” l’atto di indulgenza per chi percorre almeno gli ultimi 100 km del Cammino.
Eravamo pronte con: biglietto aereo per raggiungere Jaca, la nostra prima tappa, la Credencial e con uno zaino (molto poco) attrezzato. Eh già. Il problema zaino è stato centrale: una media di 15 kg in due, davvero troppi. Strada facendo però ci siamo accorte di quanto poco siano importanti i beni materiali per la sopravvivenza dello spirito… e in alcuni casi del corpo!
Lungo i sentieri si trovavano scarpe, jeans, ciabatte… tutti oggetti abbandonati per il troppo peso sulle spalle e ora alla mercè di chiunque ne avesse avuto bisogno. Dal canto nostro, noi abbiamo lasciato orfane intere boccette di shampoo e balsamo (diciamo che il bagno schiuma generico era più che sufficiente alla nostra toilette quotidiana). Il primo giorno di cammino non me lo scorderò mai. Fernando, un banchiere spagnolo sui 35 anni (di una pesantezza incredibile!) ci accompagnò per tutti quei benedetti 25 km! E continuava a parlare, parlare… io ed Elena non ne potevamo più. Ricordo che all’ultimo colle per raggiungere Arres ci distanziò e noi ne eravamo molto soddisfatte. Ma ricordo anche che l’aver sentito la sua voce provenire dal cortile dell’ostello che ci sembrava così irraggiungibile fu davvero una gioia. Il pellegrinare è questo: il silenzio, i luoghi e le genti.
Il silenzio perché mentre percorri 25 – 35 km al giorno non puoi permetterti di chiacchierare continuamente, ma devi conservare le forze per i punti più difficili, quelli in cui lo zaino di 8 kg pesa come un macigno e il sole splende alto e beffardo. E poi pensi, pensi che stai camminando per qualcosa, per qualcuno, forse non è questione di religione, è questione di traguardo. Ti poni un obiettivo e senti che devi raggiungerlo, che sia per te stesso o per gli altri non importa. Vuoi farcela. Poi ci sono i luoghi.
Città e paesini che accolgono con estremo rispetto il pellegrino. Acqua, cibo, un posto per dormire, bastava chiedere. Chiunque ci riconosceva, ci sorrideva e ci gridava “Ultreia, Suseia, Santiago” (Forza! Coraggio! Più avanti c’è Santiago!) . A Torres Del Rio io ed Elena abbiamo traumatizzato un gruppo di anziani. Sarà stato lo sguardo perso e il viso cotto dal sole (forse anche la bava che scendeva dalla bocca!) ma questi si sono impietriti, hanno mollato le bocce e ci sono corsi incontro per riempirci le borracce di acqua. Se penso oggi a quel momento, un gruppo di ultra settantenni che portano acqua a due 18enni… Che imbarazzo!
Sul cammino abbiamo conosciuto gente di ogni dove: coreani, polacchi, spagnoli, francesi, americani…  Porterò tutti nel mio cuore, ciascuno con l’episodio che più me li rappresenta. Ricordo Andrea, aveva accompagnato il fratello con un gruppo di amici, ma i problemi al ginocchio lo avevano lasciato indietro rispetto al gruppo e allora si era unito a noi, ricordo le sue cene improvvisate negli ostelli e l’accento bolognese. Ricordo “Papà e figlio”, li chiamavamo così, e il pulpo alla gallega mangiato alla stessa tavolata raccontandoci della madre che non c’era più.  Poi c’era la “maratoneta” che si allenava sul cammino; la incrociammo 2 volte: alla sua andata e al suo ritorno! Che grande smacco per noi.
E poi c’erano i momenti comunitari: la cena tutti insieme, l’attesa per un letto nella cripta di una chiesa (sì, un po’ è stato inquietante), ma anche le file per la doccia e le serate di medicazione alle piaghe dei piedi. Le disavventure ci sono state ma sono belle e da ricordare. A Estella Elena ed io siamo capitate accanto alla stanza del famigerato “Roncador”. Tutti ne parlavano, credevamo fosse leggenda e invece no! Un omone sui 50 anni che russò per tutta la notte. Il giorno dopo non fu un piacere rivederlo a colazione.
A Portomarin per il caldo, avevamo deciso di svegliarci per le 4 così da camminare senza avere il sole ancora alto, con la sicurezza inoltre di poter arrivare presto alla città seguente, garantendoci così quasi sicuramente un posto letto. Dovete sapere che il Cammino costeggia sempre i cimiteri. Ora immaginatevi la situazione: buio, lumini del cimitero, vento che fa muovere rami e piante… e noi? Non avevamo messo in zaino nessuna torcia. Mi scoccia dirlo ma abbiamo aspettato una bella oretta in attesa di un simpatico gruppetto di pellegrini con tanto di torcia e fiaccole. Ah, naturalmente non abbiamo trovato un posto letto all’arrivo!
Eh già, verso gli ultimi chilometri del Cammino, assai turistici rispetto a quelli iniziali, il rischio di non trovare un letto negli hostel è assai alto. Una notte io e Elena l’abbiamo passata in una bella palestra comunale. E ci è andata anche bene! Le alternative potevano essere la prigione o la stazione di polizia. Abbiamo ringraziato ma abbiamo rifiutato per meno comodi giacigli.
Santiago è tanto. Tanto altro: il menu del pellegrino a 7 euro (primo, secondo, vino, acqua e caffè) , il prete di Burgos che ti serve a tavola il pranzo cantando, un ragazzo polacco che ti racconta di essere arrivato in autostop pur di raggiungere il Cammino, la concha amarilla che identifica i pellegrini e la flecha amarilla che indica a loro la strada. Di tutto questo è stato l’arrivo alla Cattedrale il più bel ringraziamento.
Che tu sia credente o non credente, che tu sia uomo o donna, grande o piccino, la Cattedrale ti aspetta e ti vede arrivare da Monte do Gozo. La cosa incredibile è che la stanchezza non c’è quando sei nella piazza. Nulla è doloroso o sinonimo di fatica. Sei arrivato. Hai portato a termine il tuo pellegrinaggio. Se vorrai potrai continuare il viaggio per “buttare a mare” i tuoi scarponi a Finisterre. Se invece non vorrai, potrai fermarti, ammirare il botafumiero che si muove nella navata e abbracciare sull’altare la statua del santo. Conscio del fatto che tutto questo ti rimarrà nel cuore per tutta la vita.