Foto: la moschea di Omar, Gerusalemme
SI DICE CHE BISOGNA DIALOGARE
È giusto che ogni volta, di fronte alle atrocità del terrorismo islamico, si levino voci allarmate a ricordare che non tutti gli islamici sono terroristi – benché tutti i terroristi siano islamici! – e che, in ogni caso, la convivenza civile si costruisce sul dialogo, non sull’odio. Voci necessarie, perché la tentazione immediata è quella di cedere alla paura, che, mista a ignoranza, genera odio e, perché no?, consenso elettorale. Dunque, sì al dialogo!
L’INTEGRALISMO ISLAMICO
Tuttavia, perché questa parola d’ordine non si riduca ad un impotente politically correctness, perché non sia un puro esercizio retorico, occorre definirne le condizioni. La prima è capire chi si ha di fronte: non solo il suo discorso, ma la sua storia, il suo presente. Ciò è tanto più necessario, se si tratti di un movimento storico più che millenario, costitutivo della storia del mondo e di quella dell’Europa. Sul discorso teologico e antropo-filosofico dell’Islam rinvio a un articolo scritto ai primi di gennaio, dopo il tragico evento di Charlie Hebdo. Qui importa considerare le conseguenze civili e politiche di quel discorso. Si possono riassumere nel concetto di integralismo, in forza del quale la dimensione religiosa, quella civile e quella politica si sovrappongono perfettamente. Detto in altro modo: ciò che è peccato sul piano etico-religioso diventa reato su quello civile e giuridico. La Shari’a, la legge islamica, funziona, direttamente o indirettamente, da Codice civile e penale. Chi non condivide l’Islam è fuori legge! E, secondo alcune sure del Corano, va sterminato. O, comunque, sottomesso, forzato alla conversione. O tollerato, se paga.
L’INTOLLERANZA È AUMENTATA
L’atteggiamento nei confronti della religione cristiana è mutato lungo i secoli: più tollerante attorno al primo millennio, si è fatto islamicamente più intransigente a partire dalla fine dell’800 e per tutto il ‘900 fino ad oggi. E più i cristiani assimilavano i valori moderni delle libertà, più feroce diventava la persecuzione nei loro confronti. I cristiani e, soprattutto, i cattolici hanno conquistato tardivamente la separazione tra Stato e Chiesa, tra religione e Stato, tra religione e politica, tra etica e diritto. Solo alla fine delle sanguinose guerre di religione del 1500/600 è stato abolito il principio di politica interna e internazionale del “cuius regio ejus et religio”: la religione dipende dal luogo in cui abiti e dal sovrano che lo possiede. Questo traguardo non è ancora stato raggiunto dall’Islam. La “shari’a” resta il Codice della società civile e dello stato, nonostante le varie Carte islamiche dei diritti dell’uomo approvate negli ultimi trent’anni. La prima conseguenza è che il dialogo con l’Islam è vietato in quasi tutti i paesi islamici, perché in realtà è vietata o fortemente limitata la libertà di manifestazione religiosa dei cristiani. A partire da questa condizione, i fondamentalisti praticano direttamente la distruzione sanguinosa di intere comunità cristiane, l’incendio delle chiese, gli stupri e l’assassinio delle infedeli. Fondamentalisti, perché chiedono il ritorno alle origini, quando il Califfato, sintesi di potere religioso e politico, era riuscito a conquistare il Mediterraneo e parti dell’Europa.
IL FONDAMENTALISMO NON È SOLO ISLAMICO
Certo, il fondamentalismo non è mai stato solo faccenda mussulmana. Anche ebraica. Basterà leggere cosa scrive nel Vi-V secolo a. C. il Deuteronomio, 20, 16-18: “Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio”. Anche cattolica. Le guerre tra cattolici e protestanti in Europa sono state una feroce guerra civile religiosa, che ha devastato nel ‘600 la Germania, con milioni di morti, fiaccato la Francia e l’Inghilterra. Ora, la stessa guerra civile sta dilaniando l’intera ecumene mussulmana, dall’Asia estrema, all’Africa, al Medioriente. Da una parte gli Stati arabi “moderati”, dall’altra i movimenti fondamentalisti e terroristi. Come tutte le guerre, anche questa è sporca: vi si intrecciano moventi religiosi, interessi economici, pulsioni etniche.
LA QUESTIONE DELLA MODERNITÀ
Ma sul fondo sta la questione centrale della modernità: quella della libertà umana, del valore assoluto della persona, della separazione delle sfere. Per noi dialogo significa non dare tregua culturale ai “moderati”, ai loro teologi, intellettuali, iman, spesso ambigui e reticenti, che predicano nelle moschee europee che l’Islam è il destino dell’Europa. I cattolici si sono convertiti faticosamente alle libertà moderne. Gli islamici ancora debbono farlo. A loro e a noi dovremmo ricordare quanto scrisse Khorasan Jalal al-Din Rumi, mistico sufi del XIII secolo: “La verità era un grande specchio che cadendo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo. Vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l’intera verità”.