«Quando non potrai correre veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però non trattenerti mai!». Nei primi tre anni di vita del Santalessandro.org abbiamo imparato a dare un senso nuovo a questa frase di Madre Teresa di Calcutta: quando abbiamo iniziato era tutto da inventare, senza un modello preciso di riferimento. È stato fin dall’inizio un progetto un po’ diverso, per il contesto e per lo strumento usato (solo il web) rispetto agli altri settimanali diocesani, pur iscrivendosi in quella tradizione.
Lungo la strada ci siamo accorti che la necessità di creare, sperimentare e reinventarsi continuamente sarebbe stata per noi – un piccolo, piccolissimo giornale – una condizione permanente. Abbiamo imparato ad apprezzarne la bellezza. Come accade a chi ama i sentieri di montagna, e come ci ha mostrato con l’esempio un grande atleta come Pietro Mennea, «la fatica non è mai sprecata, soffri ma sogni». Ed è così anche per noi: nonostante le difficoltà non abbiamo perso la voglia e il coraggio di sognare. In questa esperienza, tanto delicata e semplice, si nasconde in fondo un’idea potente e ambiziosa: quella di essere, in modo umile, un segno.
Un segno controcorrente in un mondo liquido, come l’ha descritto Bauman, in continua, rapidissima, trasformazione. Il Santalessandro rappresenta, nell’universo virtuale, una piccola comunità che si ritrova intorno a un’idea di informazione e di Chiesa che rispetta e ama la tradizione, ma rifiuta di ripiegarsi in modo sterile sul passato, intende rivolgersi a tutti, non si rassegna di fronte alla complessità del presente, ma cerca piuttosto di coglierne il fascino, di interpretarlo, di offrire frammenti di consapevolezza, di cercare in esso, quando può, piccole tracce di futuro.
Non è un caso se utilizziamo la prima persona plurale. Il Santalessandro è una squadra, piccola, sì, ma solo per le dimensioni, non per l’impegno e il cuore. Monsignor Alberto Carrara ha promesso che continuerà ad esserci anche se ha passato il timone a me. Da lui abbiamo imparato cose importanti come la libertà dello sguardo, l’ampiezza e la profondità dell’orizzonte, la capacità di accogliere prospettive e posizioni diverse. Poi ci sono i collaboratori, un gruppo variegato in cui a persone di grande professionalità, competenza ed esperienza si affiancano tanti giovani, che con generosità offrono al giornale la loro freschezza e uno sguardo mai scontato. Tutt’intorno, sta crescendo silenziosamente una rete che ci auguriamo di rafforzare e allargare sempre di più, fatta di associazioni, gruppi, movimenti, e semplicemente, ma attivamente, dai lettori che ci seguono, commentano, condividono (e ogni tanto, chiaramente, non condividono) ciò che scriviamo. Ci auguriamo che il giornale possa diventare ancor di più in futuro, come abbiamo desiderato fin dall’inizio, una specie di “focolare” virtuale dove parlare di cristiani e da cristiani, con uno stile ben preciso, fondato sul rispetto e sulla sensibilità per le persone. Noi crediamo davvero nel potere rivoluzionario della tenerezza, così come lo descrive Papa Francesco nella Evangelii Gaudium e come lo interpreta la teologa Isabella Guanzini (vi invitiamo a rileggere la bella intervista di Giulio Brotti che abbiamo pubblicato per Pasqua): «C’è chi con impeto e risolutezza è convinto che la tenerezza sia precisamente ciò che ci manca per poter nuovamente vivere e sentire in un mondo comune: per poter essere semplicemente più umani, oggi e nel tempo a venire», in un orizzonte che delinea un ideale umano e cristiano «che reagisce a ogni durezza e rigidità: che resiste cioè a tutto ciò che si erge come un muro, come un pugno, come un diktat, come una superficie inscalfibile e refrattaria alle aperture, alle modificazioni e alle contaminazioni dell’umano». È questa la strada sulla quale (con la stessa semplicità di sempre) ci mettiamo in cammino.
Lungo la strada ci siamo accorti che la necessità di creare, sperimentare e reinventarsi continuamente sarebbe stata per noi – un piccolo, piccolissimo giornale – una condizione permanente. Abbiamo imparato ad apprezzarne la bellezza. Come accade a chi ama i sentieri di montagna, e come ci ha mostrato con l’esempio un grande atleta come Pietro Mennea, «la fatica non è mai sprecata, soffri ma sogni». Ed è così anche per noi: nonostante le difficoltà non abbiamo perso la voglia e il coraggio di sognare. In questa esperienza, tanto delicata e semplice, si nasconde in fondo un’idea potente e ambiziosa: quella di essere, in modo umile, un segno.
Un segno controcorrente in un mondo liquido, come l’ha descritto Bauman, in continua, rapidissima, trasformazione. Il Santalessandro rappresenta, nell’universo virtuale, una piccola comunità che si ritrova intorno a un’idea di informazione e di Chiesa che rispetta e ama la tradizione, ma rifiuta di ripiegarsi in modo sterile sul passato, intende rivolgersi a tutti, non si rassegna di fronte alla complessità del presente, ma cerca piuttosto di coglierne il fascino, di interpretarlo, di offrire frammenti di consapevolezza, di cercare in esso, quando può, piccole tracce di futuro.
Non è un caso se utilizziamo la prima persona plurale. Il Santalessandro è una squadra, piccola, sì, ma solo per le dimensioni, non per l’impegno e il cuore. Monsignor Alberto Carrara ha promesso che continuerà ad esserci anche se ha passato il timone a me. Da lui abbiamo imparato cose importanti come la libertà dello sguardo, l’ampiezza e la profondità dell’orizzonte, la capacità di accogliere prospettive e posizioni diverse. Poi ci sono i collaboratori, un gruppo variegato in cui a persone di grande professionalità, competenza ed esperienza si affiancano tanti giovani, che con generosità offrono al giornale la loro freschezza e uno sguardo mai scontato. Tutt’intorno, sta crescendo silenziosamente una rete che ci auguriamo di rafforzare e allargare sempre di più, fatta di associazioni, gruppi, movimenti, e semplicemente, ma attivamente, dai lettori che ci seguono, commentano, condividono (e ogni tanto, chiaramente, non condividono) ciò che scriviamo. Ci auguriamo che il giornale possa diventare ancor di più in futuro, come abbiamo desiderato fin dall’inizio, una specie di “focolare” virtuale dove parlare di cristiani e da cristiani, con uno stile ben preciso, fondato sul rispetto e sulla sensibilità per le persone. Noi crediamo davvero nel potere rivoluzionario della tenerezza, così come lo descrive Papa Francesco nella Evangelii Gaudium e come lo interpreta la teologa Isabella Guanzini (vi invitiamo a rileggere la bella intervista di Giulio Brotti che abbiamo pubblicato per Pasqua): «C’è chi con impeto e risolutezza è convinto che la tenerezza sia precisamente ciò che ci manca per poter nuovamente vivere e sentire in un mondo comune: per poter essere semplicemente più umani, oggi e nel tempo a venire», in un orizzonte che delinea un ideale umano e cristiano «che reagisce a ogni durezza e rigidità: che resiste cioè a tutto ciò che si erge come un muro, come un pugno, come un diktat, come una superficie inscalfibile e refrattaria alle aperture, alle modificazioni e alle contaminazioni dell’umano». È questa la strada sulla quale (con la stessa semplicità di sempre) ci mettiamo in cammino.