Legge elettorale. Il grande rischio: che il governo non governi

I termini fantasiosi

Per quanto i dizionari di Latino siano sempre più aggiornati, mancano alcuni vocaboli: Mattarellum, Porcellum, Italicum, Provincellum, Legalicum, Rosatellum… Ha incominciato Giovanni Sartori, grande politologo, morto da poco, a farne uso per denominare il sistema elettorale di turno. Saltato sostanzialmente l’Italicum nel referendum del dicembre scorso, la fantasia politico-giornalistica impazza. Tuttavia, più che le tecnicalità delle sempre nuove proposte di sistema elettorale, di cui discutono gli esperti, interessa a noi cittadini e elettori comprendere la posta in gioco di queste discussioni.

La posta in gioco

Secondo una vulgata prevalente, la nostra democrazia soffrirebbe di una crisi di rappresentatività. Gli elettori si sarebbero perciò disamorati della democrazia liberale e avrebbero incominciato a seguire i pifferai di Hamelin, che compaiono sulla scena a intervalli irregolari: populisti, nazionalisti, astensionisti. Se questa la diagnosi, bisogna rivedere quel congegno che trasforma i voti popolari in seggi parlamentari. Si sostiene che tanto il Mattarellum del 4 agosto 1993, quanto il Porcellum del 21 dicembre 2005, quanto l’Italicum del 6 maggio 2015, quanto il Rosatellum di questi giorni (50% di seggi in collegi uninominali, 50% di voto proporzionale) distorcono il rapporto tra voti popolari e eletti. Per questo alcuni partiti politici – in primis Forza Italia – e molti giuristi, costituzionalisti, opinion leader hanno concluso che è meglio tornare al rispecchiamento perfetto tra voti popolari e seggi. Si chiama sistema proporzionale.

Il Parlamento, supermarket della rappresentanza

“Quasi” perfetto: perchè, come faceva notare da ultimo Claudio Petruccioli, i voti necessari per eleggere un deputato o un senatore Dc o PCI erano assai meno di quelli dei partiti più piccoli. La distorsione era maggiore per i partiti piccoli. Compensata ampiamente, in quel sistema, dal loro potere di veto/ricatto. Tuttavia, se osserviamo il Parlamento uscito dalle elezioni del 2013, eletto con il Porcellum, non pare si possa parlare di crisi della rappresentanza. I Gruppi alla Camera sono 12, al Senato 9; 188 deputati e 131 senatori hanno cambiato Gruppo dal 2013 ad oggi, forse per aderire meglio al reticolo degli interessi propri e altrui. Le due Camere, in effetti, rappresentano interessi grandi e piccoli del Paese, come appare evidente ogni qualvolta si discuta di una legge, dal Codice di procedura penale, alle carriere dei magistrati, alla concorrenza, alla stampa, alla scuola, ai tassisti. Le migliaia di emendamenti sono lo strumento della loro costante e molecolare pressione.

Il Parlamento italiano è, in realtà, una Camera a due rami delle corporazioni del Paese, un supermarket della rappresentanza, dove ciascun gruppo sociale o corporazione può scegliere il proprio prodotto. È in occasione della Legge di Bilancio che questa verità si manifesta in tutta la sua crudezza. Il Parlamento è il terminale di ogni domanda, di ogni lamento, di ogni rivendicazione di gruppi, caste, corporazioni, che si affollano al grande abbeveratoio della spesa pubblica, sgomitando ciascuno per il proprio sorso. Dunque, tutti minuziosamente rappresentati.

Il governo assente

I guai cominciano di lì in avanti. Chi governa il bellum omnium contra omnes degli interessi? Nessuno! Il problema della democrazia italiana non è la rappresentanza imperfetta, ma il governo assente. Non è il governo della maggioranza, sulla base di una propria idea di Bene comune, ma il governo di tutti e di nessuno. Ma è ciò che propongono i neo-proporzionalisti: a ciascuno la sua quota di governo. L’immarcescibile Gustavo Zagrebelski lo ha teorizzato in un indimenticabile dibattito con Matteo Renzi, prima della fatidica data del 4 dicembre 2016. Come a dire: a ciascuno secondo la sua capacità di minaccia. La guerra paralizzante degli interessi entra di diritto nel governo. Dal postulato della rappresentanza perfetta esce il teorema del non-governo. È quel senso comune che ha vinto il 4 dicembre 2016 e che è l’esatto contrario del buon senso. Le democrazie vanno in crisi quando tutti parlano e nessuno sceglie. Pertanto qui sta il displuvio: o sistema proporzionale/non governo o sistema maggioritario/governo reale. È in grado questo Parlamento – Camera/Senato – di varare un sistema elettorale che permetta la nascita di un governo governante nella prossima Legislatura? Pare difficile.

La riforma necessaria e (quasi) impossibile

Ma, quand’anche, continuerebbe a restare del tutto incompleto l’itinerario iniziato con il Mattarellum. Modificare in senso maggioritario il sistema elettorale, senza introdurre il doppio turno per il ballottaggio e senza modificare il sistema istituzionale, passando dal governo parlamentare al governo (semi-)presidenziale, renderà comunque instabili le maggioranze. Una democrazia in cui gli elettori possono scegliere soltanto la rappresentanza, ma non il Presidente, è sempre a rischio di instabilità e di disaffezione. La democrazia italiana è in crisi non perchè imperfettamente rappresentante, ma perchè è una democrazia a metà.