Ci siamo fatti raccontare da Veronica Cruciani come è nata l’idea di portare sulla scena il romanzo della Murgia: «Quando l’ho letto mi è subito piaciuto moltissimo, mi ha emozionato e coinvolto al punto da farmi desiderare di portare sulla scena i temi delicatissimi e attuali che affrontava. Il teatro ha la capacità di raccontare le questioni traducendole in carne e ossa e può diventare un modo molto forte per comunicarle. Mi ha colpito il grande amore che lega la protagonista Maria, orfana di padre, ultima figlia indesiderata di quattro, alla madre adottiva Bonaria Urrai. Mi ha commosso l’idea che si possa avere una seconda opportunità nella vita, anche dopo una partenza così sfortunata, e che grazie ad essa si possa recuperare entusiasmo e slancio. La situazione narrata nel romanzo riporta a un modello di famiglia “allargata” diverso da quello tradizionale, che contempla l’adozione e abbraccia un orizzonte più ampio, più ricco».
La storia è raccontata dal punto di vista di Maria, la bambina del libro, una scelta originale: «Anche l’autrice del romanzo – spiega Veronica Cruciani – è rimasta sorpresa quando ci siamo incontrate per la prima volta e le ho raccontato com’era strutturato il testo che avremmo portato in scena. Ho chiesto infatti all’autrice, Carlotta Corradi, di scriverlo sotto forma di monologo dal punto di vista di Maria. Michela Murgia si aspettava che scegliessi l’altra donna, Bonaria, come protagonista, più matura, più complessa. Maria nello spettacolo, tuttavia, è una donna: le viene comunicato che la “zia” Bonaria è ammalata, sta morendo e lei ritorna a casa per esserle accanto. Così ripercorre la loro storia, la sua relazione con la madre adottiva, rileggendola e rielaborandola. Il tema centrale è quello del rapporto tra una madre e una figlia e il percorso di crescita di Maria».
Bonaria, però, nello spettacolo non c’è: «Maria dialoga con se stessa, con il suo “genitore interno”. In scena c’è una parete grigia, pulsante, che rappresenta questa dimensione dell’anima, una sorta di inconscio. Così rappresentiamo in scena quella fase di crescita in cui bisogna staccarsi dalla madre. Maria porta in sé questo lutto, questa morte, fatica ad affrontarla, rivive quello che le è accaduto e rielaborandolo diventa adulta».
Uno spettacolo interamente al femminile, in cui si riflette sulla formazione dell’identità: «Parliamo di cosa significa essere figlia ed essere madre: in questo spettacolo è come se Maria gradualmente acquisisse la capacità di essere a sua volta genitore. La vecchiaia, la malattia spingono a un’inversione dei ruoli. Maria si trova ad accudire sua madre, questo le richiede di diventare, alla fine, adulta. Lo spettacolo è come se fosse un percorso, che vediamo in un momento breve, sintetico, ma è come se trascorressero mesi, anni. E mostra proprio come avviene dentro di lei il conflitto e la svolta. Si confronta con una parte di sé e cresce. La relazione madre-figlia è fatta di molte cose, di confronto, di complicità. Il pubblico si riconosce, sa cosa significa quel tipo di legame, è un tema che riguarda tutti».