Braccialetti rossi

“I capelloni” sembra il nome di una rock band degli anni Settanta, composta da giovani entusiasti e un po’ trasandati. Come suona diverso questo nome attribuito a un gruppo di ragazzi ricoverati in ospedale che hanno perso tutti i capelli per colpa della chemioterapia.
Ecco: questo è solo un esempio del continuo ribaltamento di prospettiva che lo scrittore spagnolo Albert Espinosa adotta come metodo di scrittura. E che si vede in modo particolare in “Braccialetti rossi – il mondo giallo”, appena pubblicato da Salani-Rai Eri. Stasera (26 gennaio) va in onda la prima puntata della fiction su Rai 1 (alle 21,30). E’ il remake italiano di “Pulsera Rojas”, realizzata in Spagna dallo stesso Espinosa. Presto arriverà anche un remake americano, Steven Spielberg ha acquistato i diritti. Siamo curiosi di vederne entrambe le versioni, e vi mettiamo in calce al testo il trailer di quella italiana, ma prima di tutto parliamo del libro.
Lo aspettavamo da tanto. Da quando, qualche anno fa, abbiamo incontrato Espinosa a Milano. Era in Italia per presentare “Tutto quello che avremmo potuto essere io e te se non fossimo stati io e te”, che ci aveva incuriosito per il titolo, torrenziale come quelli dei film della Wertmuller. Il primo suo romanzo pubblicato da Salani qui da noi, preceduto da una fama notevolissima in Spagna. Sapevamo che aveva una storia particolare ma sentirla raccontare da lui, con il sorriso sulle labbra, con quell’aria da ragazzino un po’ ribelle, anche adesso che ha quarant’anni, ci ha dato un’emozione fortissima. Si è ammalato di cancro quando aveva quattordici anni: osteosarcoma. Gli hanno dovuto amputare una gamba. Ma è stato solo l’inizio perché poi ha dovuto combattere contro altri tre tumori: di nuovo alla gamba, al fegato e al polmone. Nonostante la materia, questo libro non è affatto tragico, leggerlo non è un’esperienza di dolore e commozione continua. E’ piuttosto una sorpresa ad ogni pagina. All’inizio  Albert scrive: «Ho perso lungo la strada una gamba, un polmone e un pezzo di fegato. Eppure devo dire, e devo farlo adesso, che per me è stato un periodo felice. Ricordo quegli anni come i più belli della mia vita…Il cancro mi ha tolto alcune cose concrete: una gamba, un polmone e un pezzo di fegato, ma me ne ha date molte altre alle quali difficilmente sarei arrivato da solo. Che cosa può darti un cancro? Credo che la risposta sia interminabile: ti permette di capire te stesso, le persone che hai attorno, ti fa conoscere i tuoi limiti…Soprattutto ti toglie la paura di morire, forse la cosa più importante in assoluto». Detto da chiunque altro suonerebbe incredibile, magari anche stonato e fastidioso. Ma non detto da Espinosa, che ci è passato, e che dopo dieci anni di cure e interventi, fuori e dentro dagli ospedali, si è laureato in ingegneria, è diventato scrittore, sceneggiatore, regista. Se riuscirete a superare la paura che un argomento così inevitabilmente suscita, scoprirete che questo libro è pieno di vita, di grazia e delicatezza. «Un anziano signore conosciuto in ospedale – racconta – mi disse che la cosa peggiore non è morire, bensì non vivere intensamente. Ne ho fatto la mia filosofia». L’umorismo così particolare di Espinosa ha il potere di illuminare qualunque situazione e di donare un senso invincibile di leggerezza. «Credere e creare – dice ancora – sono due parole molto simili e si assomigliano tanto perché sono molto vicine. Così vicine che, se credi, crei». Viene davvero voglia di dargli retta, e di seguirla questa strada, con il coraggio di cambiare prospettiva anche quando sembra di avere tutto contro. Come è successo a lui.