Preghiera di pace

Si è pregato per la Palestina, sabato 1 Marzo, nella chiesa di Longuelo, nel giorno in cui si ricorda il Muro di apartheid  alto 8 metri che circonda Betlemme da dieci anni. E non solo. Come indicato dalla traccia lasciata da Pax Christi, sabato si è anche commemorato il centenario della nascita di Etty Hillesum, la giovane ebrea morta ad Auschwitz all’eta di 29 anni.

Può sembrare strano, forse, pregare per la sofferenza palestinese e ricordare Etty, vittima della shoah, durante lo stesso giorno. Mai il filo spinato posto al centro della navata, invece, dimostra che è possibile: perché di filo spinato in Palestina se ne può trovare un po’ ovunque, così come quello rimasto intorno ai campi di concentramento. Lo stesso filo, due ingiustizie, lo stesso dolore.

La preghiera non vuole solo denunciare i soprusi che avvengono in Terra Santa, gli ulivi devastati di Beit Jala, le case distrutte e occupate, le lunghe code ai check-point e le violenze che subiscono i palestinesi, cristiani e musulmani. Le persone che hanno aderito alla veglia conoscono già la realtà, probabilmente la maggior parte di loro ha avuto la possibilità di vederle direttamente con i propri occhi. Si vuole piuttosto creare dei ponti di dialogo, di comunione e solidarietà. Sabato si è richiamata subito la pace, richiamando le parole di papa Francesco che a maggio visiterà la Terra Santa, e non per un solo popolo, ma per tutti i popoli della terra, perché tra di essi c’è “un’unità e condivisione di un comune destino.” La pace richiede la forza della mitezza e la forza nonviolenta dell’amore, allontanandoci da quella “globalizzazione dell’indifferenza” che fa abituare alle sofferenze dell’altro.

“Stare con una delle due parti non significa essere contro l’altra” scrive Fouad Twal, patriarca di Gerusalemme, e con queste parole don Massimo Maffioletti, parroco di Longuelo, inizia il suo intervento. Decidere di gridare al mondo le ingiustizie di quella terra non implica odiare l’altra parte, perché quella pace che possiamo solo sperare di ottenere, non è un’esclusiva dei palestinesi, ma è invocata anche per il popolo israeliano. Don Massimo continua riprendendo le parole tratte dal diario di Etty ed esse  spiegano veramente il motivo per cui ogni anno si ricorda il Muro. Incapacità d’odiare. Scriveva così Hillesum prima di scegliere di condividere le sofferenze del suo popolo, nonostante la salvezza a portata di mano. Solamente eliminando le barriere dentro di noi, abbattendo i muri di odio, paura e sfiducia, si può veramente denunciare a gran voce le ingiustizie. Altrimenti, afferma don Massimo, la preghiera non è altro che un contenitore vuoto che suona piuttosto come una bestemmia. “Il filo spinato è una pura questione di opinioni” diceva ancora Etty, così, mentre scorrono le immagini dei campi di concentramento e quelle della vita quotidiana palestinese e del Muro, si percepisce che non c’è alcuna differenza tra esse: c’è solo una grande insofferenza. Perché il Signore, si invoca, non si dimentica di nessuno.

Si sarebbe voluto tagliare quel filo spinato, ancora lì, al centro, in tanti piccoli pezzi, così da portare a casa un ricordo della preghiera, ma non è così facile, chiarisce don Massimo. Ciò che si può fare, invece, è tagliare il filo spinato che imprigiona i nostri cuori, distruggendo i muri e costruendo, finalmente, ponti d’unità, prima dentro di noi e poi, anche in Terra Santa.